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In queste ore, l’Australia sta seriamente valutando la possibilità di riconoscere ufficialmente la Palestina. Un passo che la metterebbe in linea con altri paesi, ma che potrebbe anche scatenare polemiche. A Sydney, decine di migliaia di persone hanno preso parte a una manifestazione imponente, marciando sul famoso Harbour Bridge per chiedere pace e aiuti umanitari per la Striscia di Gaza, attualmente afflitta da una crisi alimentare devastante a causa del blocco israeliano.
Ma cosa ci sta dicendo tutto questo?
La manifestazione a Sydney
Domenica scorsa, nonostante i venti forti e la pioggia battente, i partecipanti non si sono fatti intimidire. Hanno sventolato striscioni e intonato slogan come “Cessate il fuoco ora” e “Libera la Palestina”. Un gesto simbolico particolarmente toccante è stato quello di portare pentole e padelle, un richiamo visivo alla fame forzata che colpisce Gaza. Gli organizzatori hanno definito l’evento “Marcia per l’Umanità”, un titolo che racchiude il profondo desiderio di solidarietà e supporto per una causa che ha bisogno di attenzione urgente.
È interessante notare che questa protesta è avvenuta a meno di una settimana da una dichiarazione congiunta dell’Australia e di oltre una dozzina di altre nazioni, che ha sottolineato l’importanza di considerare il riconoscimento dello Stato di Palestina come un passo fondamentale verso una soluzione dei due Stati. La domanda sorge spontanea: l’Australia seguirà questo esempio?
Le reazioni internazionali e i dati della crisi umanitaria
In un contesto globale sempre più preoccupato, paesi come Francia, Gran Bretagna e Canada hanno espresso l’intenzione di riconoscere diplomaticamente uno Stato palestinese. Questo in risposta a un crescente livello di critica internazionale riguardo alla crisi alimentare a Gaza. Secondo l’ultimo rapporto del Ministero della Salute di Gaza, la situazione è tragica: almeno 175 persone, di cui 93 bambini, sono morte di fame e malnutrizione dall’inizio del conflitto, scoppiato dopo gli attacchi di Hamas a sud di Israele nell’ottobre 2023.
L’Australia ha chiesto la fine delle ostilità a Gaza, ma finora non ha preso una decisione definitiva sul riconoscimento di uno Stato palestinese. I numeri parlano chiaro: fino a 90.000 persone avrebbero partecipato alla protesta, anche se gli organizzatori, il Palestine Action Group Sydney, affermano che i partecipanti potrebbero essere stati fino a 300.000. È davvero un momento cruciale per la coscienza collettiva del Paese.
Voci dalla protesta
Tra i manifestanti c’era una grande varietà di volti, famiglie con bambini e anche figure di spicco come Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, che ha scelto di non rilasciare dichiarazioni ai media. La senatrice Mehreen Faruqi, del partito Greens, ha tenuto un discorso appassionato al pubblico di Lang Park, chiedendo sanzioni più severe contro Israele e accusando le forze israeliane di “massacrare” i palestinesi.
Antony Loewenstein, autore del libro “The Palestine Laboratory”, ha messo in luce la complicità dell’Australia nelle azioni israeliane, affermando che il paese è parte della catena di approvvigionamento globale per i cacciabombardieri F-35 utilizzati da Israele. “Molti australiani ne sono consapevoli”, ha detto, “e sono arrabbiati perché il loro governo sta facendo poco più che parlare”. Hai mai pensato a quanto possa essere importante il nostro ruolo come cittadini in questi eventi? La risposta sembra sempre più urgente.