Il premier Pedro Sánchez non si accontenta di guidare il Partito socialista con oltre il 90% delle preferenze, risultato emerso dal 41° Congresso di Siviglia. Il Premier Sanchez riforma il diritto all’aborto, inserendo nella Costituzione spagnola diritti che molti consideravano già acquisiti ma non ancora protetti. Tra questi compaiono il matrimonio ugualitario, il salario minimo e, soprattutto, l’interruzione volontaria di gravidanza.
Premier Sanchez e il diritto all’aborto: una sfida politica che diventa culturale
Il palco di Siviglia è stato lo scenario della sua dichiarazione, un discorso applaudito a lungo, con il leader che ha ribadito la centralità dei diritti sociali nel programma politico. Non solo parole, ma una precisa volontà politica… Lo confermano anche fonti della Moncloa, che parlano di una proposta destinata ad arrivare presto al Congresso dei Deputati.
Il tema non è nuovo, ma Sánchez vuole renderlo inattaccabile. L’aborto in Spagna è consentito fino alla 14ª settimana di gravidanza, grazie alla legge del 2010 varata sotto il governo socialista di José Luis Rodríguez Zapatero. Tuttavia, inserirlo in Costituzione significa sottrarlo al rischio di revisioni da parte di maggioranze future. Una garanzia, probababilmente più che un cambiamento.
Non mancano i riferimenti al contesto europeo. In Italia il limite è 12 settimane. In Portogallo dieci, in Olanda si arriva fino a ventiquattro. E poi ci sono i casi estremi: Malta e Polonia, con legislazioni che rendono quasi impossibile l’intrruzione volontaria di gravidanza. L’Europarlamento, l’11 aprile scorso, aveva approvato una risoluzione – 336 voti a favore, 163 contrari, 39 astenuti – per inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Non vincolante, ma dal forte peso politico. Sánchez non cita quel voto direttamente, ma il parallelo sembra essere evidente.
Premier Sanchez e la riforma per il diritto all’aborto aborto: le polemiche a Madrid
Dietro la proposta del Premier Sanchez per la riforma del diritto all’aborto c’è anche un clima interno che si è fatto teso. Negli ultimi mesi, il Partido Popular e Vox hanno portato avanti un’offensiva a livello locale. A Madrid, ad esempio, è stata approvata una mozione che obbliga i medici a informare le donne dei presunti rischi di una “sindrome post aborto”. Una formula senza alcun fondamento scientifico, contestata da più parti, ma che ha riacceso certamente il dibattito.
La reazione del governo è stata ovviamente immediata. Dal palazzo della Moncloa spiegano che la riforma costituzionale non è soltanto un obiettivo politico, ma una risposta diretta a tentativi considerati regressivi. “Consacrare la libertà e l’autonomia delle donne” – questo l’obiettivo dichiarato.
Guardando indietro, la Spagna è stata uno dei Paesi pionieri in materia di diritti civili, dal matrimonio ugualitario al riconoscimento delle famiglie arcobaleno. Ma la scelta di Sánchez, in questo caso, ha una valenza più ampia. Non è solo politica interna: è un segnale lanciato all’Europa e al mondo, in un momento in cui i diritti riproduttivi tornano ad essere messi in discussione in diversi Paesi.
Sul piano pratico, la proposta dovrà passare dal Congresso, dove i numeri non sono affatto scontati. E qui entra in gioco la dimensione più strettamente politica? Ebbene sì… Sánchez, reduce dalla conferma alla guida del Psoe, punta ad aprire una nuova stagione. A trasformare il consenso interno in una piattaforma legislativa capace di blindare i diritti. Una strategia chiara, che però incontra resistenze culturali, religiose, e naturalmente partitiche.
Intanto il dibattito cresce, alimentato dalle cronache di Madrid e dalle prese di posizione europee. Nel Paese, tra i sostenitori della riforma, serpeggia una frase ricorrente: “meglio scriverlo una volta per tutte”.