La fuga di Elia Del Grande dalla casa lavoro di Castelfranco Emilia riapre il dibattito sulle misure di sicurezza in Italia e sull’efficacia del reinserimento dei detenuti. Con una lettera inviata a VareseNews, Del Grande ha spiegato le motivazioni della sua fuga, denunciando “la totale inadeguatezza” delle case lavoro e la mancata possibilità di reinserimento reale nella società.
Sterminò la famiglia ed ora è in fuga: le prime parole di Elia Del Grande
Elia Del Grande, condannato a 30 anni di carcere per la cosiddetta “strage dei fornai” del 1998, quando uccise a Cadrezzate padre, madre e fratello, è scomparso pochi giorni fa dalla casa lavoro di Castelfranco Emilia, dove era stato trasferito dopo aver scontato oltre 25 anni di detenzione.
L’uomo, oggi cinquantenne, ha inviato una lettera a VareseNews spiegando le ragioni della sua fuga, definita da lui stesso un “semplice allontanamento”. Nella missiva scrive:
“Il mio gesto è dovuto alla totale inadeguatezza che ancora incredibilmente sopravvive in certi istituti, come le case lavoro, che dovrebbero tendere a ri-socializzare e reinserire con il lavoro, per l’appunto cosa che non esiste affatto”.
Sterminò la famiglia ed ora è in fuga: Elia del Grande scrive una lettera da una località segreta
Nella lettera Del Grande racconta anche la propria esperienza di reinserimento interrotto bruscamente:
“Avevo ripreso in mano la mia vita, ottenendo con sacrificio un ottimo lavoro avevo ritrovato una compagna, un equilibrio, i pranzi, le cene, il pagare le bollette, le regole della società, tutto questo svanito nel nulla per la decisione di un magistrato di Sorveglianza“.
L’ex detenuto denuncia un ritorno a una realtà repressiva, peggiore del carcere stesso:
“Mi sono trovato ad avere a che fare ogni giorno con gente con serie patologie psichiatriche, la terapia chiaramente psicofarmaco, viene data in dosi massicce a chiunque senza problemi. L’attività lavorativa esistente è identica a quella dei regimi carcerari. Le case di lavoro oggi sono delle carceri effettive in piena regola con sbarre cancelli e polizia penitenziaria, orari cadenziati, regole e doveri. Con la piccola differenza che chi è sottoposto alla casa di lavoro non è un detenuto, bensì un internato, ovvero né detenuto né Libero”.
La vicenda ha riacceso il dibattito sulle misure di sicurezza in Italia, evidenziando le difficoltà di gestione dei soggetti ritenuti socialmente pericolosi. Del Grande critica la stigmatizzazione che ancora lo accompagna:
“Qualsiasi pena uno possa pagare in questo Paese, rimarrai sempre la persona responsabile del gesto commesso“.
La sua fuga mette in luce le lacune del sistema italiano rispetto ad altri Paesi europei, mostrando come le strutture destinate al reinserimento possano trasformarsi in luoghi di sofferenza e isolamento, piuttosto che strumenti di riabilitazione sociale.