Prima che Washington assestasse un nuovo colpo al suo braccio militare, la «Brigata al-Barāʾ ibn Mālik», con una serie di sanzioni, seguita dall’annuncio del gruppo dei Quattro di una road map per porre fine alla guerra in corso nel Paese e limitare qualsiasi influenza della Fratellanza Musulmana.
Ieri il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha imposto sanzioni alla Brigata al-Barāʾ ibn Mālik, braccio armato della Fratellanza Musulmana in Sudan, e al ministro delle Finanze nominato dall’esercito, Jibril Ibrahim, per il loro coinvolgimento nella guerra civile in corso dall’aprile 2023 e per i loro legami con l’Iran.
Le sanzioni americane mirano a limitare l’influenza islamista all’interno del Sudan e a ridurre le attività regionali dell’Iran, che hanno contribuito a destabilizzare la regione, alimentare i conflitti e causare sofferenze ai civili. Il movimento islamico rappresenta infatti il braccio della Fratellanza Musulmana in questo Paese dell’Africa orientale.
Secondo il comunicato, gli Stati Uniti si impegnano a lavorare con i partner regionali per raggiungere pace e stabilità in Sudan e garantire che il Paese non diventi un rifugio sicuro per chi minaccia gli americani e gli interessi nazionali di Washington.
Arresti, torture ed esecuzioni
La Brigata al-Barāʾ ibn Mālik è una milizia che trae le sue origini dalle Forze di Difesa Popolare in Sudan, un’organizzazione paramilitare islamica legata al precedente regime di Bashir, che ha contribuito con circa 20.000 combattenti al conflitto contro le Forze della Coalizione Tāsīs, utilizzando addestramento e armi fornite dai Pasdaran iraniani, secondo il Dipartimento del Tesoro USA.
I miliziani della Brigata al-Barāʾ ibn Mālik sono stati coinvolti in arresti arbitrari, torture ed esecuzioni sommarie. Insieme ad altre milizie islamiste armate presenti in Sudan, rappresentano un grande ostacolo alla fine della guerra civile e rallentano gli sforzi per la risoluzione del conflitto, secondo la stessa fonte.
A gennaio scorso, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha espresso profonda preoccupazione per i rapporti che segnalavano esecuzioni sul campo di civili a Khartum, eseguite da elementi dell’esercito sudanese e della Brigata al-Barāʾ ibn Mālik con il pretesto della loro collaborazione con le Forze della Coalizione Tāsīs.
Si ritiene ampiamente che la «Brigata al-Barāʾ» sia una delle unità più preparate, addestrate e armate della Fratellanza, composta da gruppi giovanili di età compresa tra i 20 e i 35 anni, provenienti in gran parte da organizzazioni studentesche, che costituivano i principali bracci di mobilitazione e sicurezza del regime islamista.
Le formazioni islamiste sudanesi continuano a ostacolare gli sforzi per raggiungere un cessate il fuoco e porre fine al conflitto in corso, e lavorano a rafforzare i legami con il governo iraniano, inclusi i Pasdaran, ricevendone supporto tecnico, secondo il comunicato.
Il ministro delle Finanze nominato dall’esercito, Jibril Ibrahim, è anche leader del Movimento per la Giustizia e l’Uguaglianza, un gruppo armato del Darfur storicamente legato a Hassan al-Turabi, architetto della rivoluzione islamica in Sudan. Questo movimento ha inviato migliaia di seguaci a combattere contro la Coalizione Tāsīs, distruggendo città sudanesi e causando migliaia di vittime e sfollati. Inoltre, Jibril ha collaborato con il governo iraniano per rafforzare i rapporti politici ed economici, recandosi a Teheran lo scorso novembre, secondo il Dipartimento del Tesoro USA.
Reclutamento dei civili
L’Osservatorio Nazionale Sudanese per i Diritti Umani ha accolto con favore, in un post sulla piattaforma «X», la decisione delle sanzioni americane contro il ministro delle Finanze Jibril Ibrahim e la Brigata al-Barāʾ ibn Mālik, poiché parti coinvolte nel conflitto sudanese responsabili di violazioni dei diritti umani.
L’Osservatorio ha citato rapporti locali che accusano queste milizie di utilizzare armi chimiche o di controllare depositi con armamenti pericolosi situati in aree civili, sollevando preoccupazioni umanitarie. Inoltre, si attribuisce alle forze congiunte la responsabilità di violazioni contro i civili e di combattimenti segnati da abusi umanitari.
È stato confermato il loro legame militare e politico con l’Iran: le sanzioni mirano a ridurre l’influenza islamista all’interno del Sudan e frenare le attività regionali iraniane che hanno contribuito a destabilizzare la regione e alimentare conflitti e sofferenze civili.
Un’analisi di Reuters pubblicata a luglio scorso sottolineava come il movimento islamico, braccio della Fratellanza in Sudan, sostenga un governo militare duraturo nella speranza di un ritorno politico, avendo dispiegato combattenti nella guerra in corso.
Nella sua prima intervista mediatica dopo anni, Ahmad Harun, ex presidente del Partito del Congresso Nazionale e uno dei quattro sudanesi ricercati dalla Corte Penale Internazionale, ha dichiarato all’agenzia di aspettarsi una permanenza dell’esercito nella politica anche dopo la guerra e che eventuali future elezioni potrebbero offrire un ritorno al potere al suo partito e al movimento islamico.
Nonostante i tentativi dei leader militari di minimizzare i legami con il movimento islamico, il suo ritorno – insieme al braccio militare «al-Barāʾ ibn Mālik» – si è rafforzato dopo l’ingresso delle forze armate a Khartum, secondo sette membri del movimento e sei fonti militari e governative. Un segnale in questa direzione è stata la nomina di diversi islamisti e alleati nel governo guidato da Kamel Idris, scelto dall’esercito a maggio scorso.
Il Partito del Congresso Nazionale affonda le sue radici nel movimento islamico sudanese, dominante nei primi anni del regime di Bashir negli anni ’90, quando il Paese ospitava il leader di al-Qaeda, Osama bin Laden. In seguito, dichiarò di aver abbandonato l’ideologia estremista in favore dell’accumulo di potere e ricchezza.
Un documento del Partito del Congresso Nazionale, mostrato a Reuters da un alto esponente islamista, evidenzia il ruolo cruciale delle reti islamiste sin dall’inizio del conflitto, con attivisti che riferiscono le loro attività ai leader del partito e si attribuiscono il merito di aver fornito direttamente tra i 2000 e i 3000 combattenti allo sforzo bellico dell’esercito nel primo anno della guerra.
Gli attivisti islamisti si vantano anche di aver addestrato centinaia di migliaia di civili rispondenti alla chiamata dell’esercito alla mobilitazione generale, di cui oltre 70.000 si sarebbero uniti alle operazioni, rafforzando sensibilmente le ridotte forze di terra dell’esercito, secondo tre fonti militari.
Le stesse fonti stimano a circa 5000 i combattenti direttamente legati al Partito del Congresso Nazionale, in gran parte nelle «forze speciali», che hanno ottenuto alcuni dei maggiori successi per l’esercito, soprattutto a Khartum. Altri combattenti islamisti addestrati prestano servizio in un’unità d’élite riorganizzata dell’Intelligence Generale, secondo fonti militari e combattenti islamisti.
Osservatori per i diritti umani hanno accusato la Brigata al-Barāʾ ibn Mālik di esecuzioni extragiudiziali nelle zone appena riconquistate di Khartum. Ancora più grave è stata la decisione del comandante dell’esercito sudanese, Abdel Fattah al-Burhan, lo scorso 17 agosto, di porre tutte le milizie combattenti al fianco dell’esercito – incluse quelle islamiste – sotto il suo diretto comando, di fatto garantendo una copertura militare alla Brigata al-Barāʾ ibn Mālik e il via libera a una maggiore penetrazione all’interno dell’esercito.
Queste mosse si scontrano apertamente con il comunicato del gruppo dei Quattro – Emirati, Stati Uniti, Arabia Saudita ed Egitto – che ieri ha respinto qualsiasi ruolo per la Fratellanza Musulmana o gruppi ad essa collegati in Sudan, un chiaro riferimento agli islamisti che hanno governato il Paese per circa quattro decenni fino al 2019 e che sono riemersi sulla scena politica durante la guerra a sostegno dell’esercito.