Non vuole morire, dice. Ma non può più vivere così. Coletta — nome di fantasia — ha 44 anni e una diagnosi che pesa come una condanna: Sclerosi Laterale Amiotrofica, SLA. Una malattia aggressiva, degenerativa. Irreversibile. Ha chiesto di accedere al suicidio medicalmente assistito, ma a Napoli, dove vive, la sua richiesta è stata respinta.
Così ha deciso di rivolgersi ai giudici, come riportano tutti i media. Con urgenza.
Il caso Coletta e il suicidio assistito a Napoli: tra burocrazia e dolore
La sua battaglia non è solitaria. Accanto a lei c’è l’Associazione Luca Coscioni, che ha reso pubblica la vicenda. Già a giugno, Coletta si era opposta al no ricevuto dalla sua ASL. Aveva chiesto una nuova valutazione delle sue condizioni. E il parere aggiornato del comitato etico. Niente da fare. La sanità campana non ha risposto. Nessun documento, nessuna parola. Solo silenzio.
Il suo caso tocca direttamente il nodo irrisolto del suicidio assistito a Napoli, dove la giustizia e la medicina sembrano correre su binari opposti. Secondo l’ASL, tre dei quattro requisiti previsti dalla Corte Costituzionale (sentenza Cappato-Antoniani, 2019) mancherebbero. A Coletta viene riconosciuta solo la malattia irreversibile. Ma non, paradossalmente, il dolore “intollerabile” da lei stessa dichiarato. Né la volontà. Né la dipendenza da trattamenti salvavita. Come se bastasse la burocrazia per negare la sofferenza.
Suicidio assistito a Napoli, la protesta di una donna ignorata mentre la politica resta immobile
Coletta non si nasconde. “Sono lucida, consapevole. Ma non accetto che qualcuno decida quanto debba ancora soffrire. Se non potrò farlo qui, andrò in Svizzera”, dice. È dura da leggere. Ancora di più da vivere. La scelta dell’espatrio non è più una provocazione. È l’unica via percorribile per chi chiede la possibilità del suicidio assistito e riceve solo risposte vaghe, quando arrivano.
Filomena Gallo, avvocata e segretaria nazionale dell’Associazione, parla apertamente di un trattamento “inumano”. Marco Cappato punta il dito sulla politica: “In Campania, la proposta di legge regionale sul fine vita è ferma da un anno. Il presidente De Luca? Ha promesso consultazioni con la Conferenza episcopale. Ma non ha fatto nulla”.
Così, mentre la legge dorme in un cassetto e le istituzioni si voltano dall’altra parte, una donna aspetta. Aspetta che qualcuno, almeno uno, le riconosca un diritto semplice. Non soffrire più.