Argomenti trattati
- Il peso dei ricordi spezzati: la casa diventa ostile
- I social come arma a doppio taglio
- Connessi e Sicuri: dal dramma al progetto civico
- L’articolo 42 della Costituzione merita una reinterpretazione alla luce dell’aumento dei furti?
- Il potere della solidarietà
- Il messaggio finale: non abituarsi alla paura
“È stato come ricevere un colpo allo stomaco – racconta a Notizie.it – ho pianto, tremavo, non riuscivo a restare in quelle stanze che fino al giorno prima chiamavo casa”.
Questa volta i ladri hanno agito mentre lui si trovava in vacanza, manomettendo l’allarme e lasciando dietro di sé non solo stanze a soqquadro, ma una ferita profonda: quella della sicurezza violata.
La sua esperienza, dolorosa e ripetuta, non è un episodio isolato ma il riflesso di un problema che attraversa il Paese.
Secondo i dati ISTAT, negli ultimi dieci anni i furti in abitazione sono aumentati del 127%. Oggi, in Italia, viene svaligiata una casa ogni tre minuti. Numeri che spiegano perché il 48% degli italiani indichi questo come il reato più temuto.
Il peso dei ricordi spezzati: la casa diventa ostile

“Un bene materiale si può ricomprare, un ricordo no”, dice Rutali. I ladri, nella sua casa, hanno puntato dritto alle camere da letto, portando via gioielli e oggetti personali. Non solo valore economico, ma frammenti di vita familiare. “Hanno portato via la mia identità – spiega – ciò che mi legava alle persone care. È questo il dolore più grande”.
Il trauma non si limita all’atto del furto: è il dopo che cambia per sempre il rapporto con le mura domestiche. “Quello che dovrebbe essere rifugio diventa un posto in cui prevale l’ansia. Anche andare a letto non è più lo stesso: resti sempre in allerta”.
Un’esperienza condivisa da migliaia di famiglie italiane, spesso invisibili nelle statistiche ma accomunate da un senso di vulnerabilità profonda.
Rutali non nasconde l’altro lato della vicenda: la sua esposizione online.
“Per lavoro ho condiviso spostamenti, viaggi, passioni. Ma oggi capisco che quella spontaneità può trasformarsi in fragilità”.
Non sa se i ladri abbiano usato davvero le informazioni ricavate dai social, ma riconosce il rischio. Per questo ha deciso di cambiare abitudini: niente più pubblicazioni in tempo reale, maggiore attenzione a ciò che riguarda la sfera privata.
“I social danno visibilità, ma possono diventare finestre aperte per i malintenzionati”.
Il suo consiglio ai giovani – ma anche agli adulti – è chiaro: “Proteggete la vostra privacy. Una foto o un check-in possono sembrare innocui, ma diventare strumenti per chi vuole approfittarsene. Serve un’educazione digitale: non è un optional, è una necessità”.
Connessi e Sicuri: dal dramma al progetto civico
Dalla rabbia nasce l’impegno. Insieme a una collega, Rutali ha ideato Connessi e Sicuri, un percorso di educazione alla sicurezza urbana e digitale. Non solo più controlli, ma una cultura della prevenzione: workshop nelle scuole, formazione per operatori comunali, sportelli anti-furto per i cittadini, una campagna multicanale di sensibilizzazione.
“Abbiamo presentato il progetto al sindaco di Bologna, che lo ha accolto positivamente. Non escludo di portarlo a livello nazionale, perché la sicurezza domestica e digitale riguarda l’intero Paese”.
L’iniziativa affronta anche i rischi della violenza di genere, nelle sue forme fisiche, online ed economiche.
L’articolo 42 della Costituzione merita una reinterpretazione alla luce dell’aumento dei furti?
La riflessione di Rutali tocca anche il piano giuridico. “L’articolo 42 della Costituzione tutela la proprietà privata, ma oggi questa non è solo patrimonio economico: è spazio di vita familiare e dignità personale. Difenderla significa proteggere anche la dimensione psicologica e affettiva”.
Non chiede una riscrittura della Carta, ma un’applicazione concreta che si traduca in più prevenzione, pattugliamenti mirati, tecnologie di controllo e un vero investimento nell’educazione civica e digitale.
Il potere della solidarietà
Dopo l’ultimo furto, Federico ha ricevuto una valanga di messaggi da vicini, amici e sconosciuti. “Mi ha dato forza, ma soprattutto mi ha fatto capire che non sono solo. C’è un bisogno collettivo di parlare di sicurezza, di non sentirsi abbandonati”.
Per lui la risposta deve essere comunitaria: “La solidarietà va trasformata in azione comune, per costruire città più sicure e comunità più unite”.
“Non sono cose che capitano”
Alla rassegnazione oppone fermezza: “Non possiamo normalizzare. I furti non sono fatalità, ma traumi che colpiscono la dignità delle persone. La sicurezza è un diritto, non un privilegio. Se lo Stato non protegge le case, i cittadini si sentono abbandonati”.
Il messaggio finale: non abituarsi alla paura
Oggi, per Rutali, sentirsi al sicuro non significa solo avere una porta blindata o un allarme. “Vuol dire addormentarsi sapendo che nessuno interromperà la tua serenità, avere fiducia che le istituzioni lavorino per proteggerti davvero”.
Il suo appello finale è rivolto a tutti: “Non dobbiamo abituarci a vivere nella paura. La mia esperienza dimostra che i furti non sono inevitabili, ma prevenibili. La sicurezza non è solo telecamere e pattuglie: è anche responsabilità collettiva, educazione digitale e impegno comune”.