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Un clima di crescente tensione si respira al Cairo, dove una delegazione italiana di circa 40 persone è in attesa di partecipare alla “Marcia globale verso Gaza” prevista per il 15 giugno. “L’attenzione che l’Egitto ha nei nostri confronti è palpabile. La polizia è schierata fuori dagli alberghi e ci dicono se possiamo uscire o meno”, racconta Silvia Severini, un’anconetana di 53 anni, contattata telefonicamente dall’ANSA.
La situazione al Cairo
La situazione si fa complicata. “Ci chiedono i passaporti e un ragazzo italiano è stato circondato dagli agenti. Stiamo molto attenti a muoverci”, aggiunge Silvia. La delegazione si muove con cautela, sempre in gruppo. “Abbiamo ricevuto consigli di rimuovere i post sui social riguardanti Gaza. Qui, se ti beccano, ti bloccano il telefono e digitano ‘Gaza’. Se trovano qualcosa, sono guai”, avverte, con un tono che riflette l’incertezza del momento.
Obiettivi della marcia
I promotori dell’iniziativa hanno dichiarato che l’obiettivo principale è “negoziare l’apertura del terminal di Rafah con le autorità egiziane”. Questo in collaborazione con ong, diplomatici e istituzioni umanitarie, per fornire aiuti umanitari attraverso una forte presenza civile. Si cerca di esercitare pressione morale e mediatica a livello internazionale. Ma, come sottolinea Severini, “la marcia è chiaro che non riusciremo a farla”. L’Egitto sta ostacolando ogni tentativo di mobilitazione.
Le reazioni locali
Malgrado il clima di restrizione, Silvia racconta di come molti cittadini egiziani si mostrano solidali. “Incontriamo persone che si commuovono quando parliamo del significato della nostra marcia pacifica. Questo è un segno che c’è un legame umano che va oltre le barriere politiche”, conclude, rimarcando la delicatezza della situazione.