Il Direttore terapia intensiva respiratoria Ospedale Carlo Poma di Mantova, Giuseppe De Donno, ritiene che il plasma sia il farmaco più efficace contro il coronavirus.
Non è un caso, infatti, se una ragazza 28enne incinta è guarita grazie alla plasmoterapia e nemmeno è un caso il fatto che a Pavia siano in corso le sperimentazioni. Curare i pazienti Covid-19 con il plasma dei pazienti guariti, secondo il professore, potrebbe essere ancora più efficace del vaccino.
De Donno: plasma farmaco efficace
Secondo il professor De Donno, intervistato da Radio Radio, “il plasma convalescente, ovvero il plasma che otteniamo da una donazione da parte di guariti, in questo momento è l’unico farmaco specifico contro il coronavirus, non ce ne sono altri”. Ma come funziona effettivamente la plasmoterapia? Il meccanismo – ha chiarito il professore – “agisce utilizzando le sostanze che ci sono nel plasma dei guariti e gli anticorpi diretti contro il coronavirus.
In pratica è come se inoculassimo nei pazienti malati un vaccino che ha fatto il suo effetto dopo 20 giorni, quindi qualcosa di molto più potente di un vaccino”.
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Sul fatto di poter produrre il plasma in laboratorio, invece, il professore mostra qualche perplessità: “Il coronavirus è un virus che muta molto facilmente, sintetizzando un plasma in laboratorio si rischia di sintetizzare un farmaco che poi alla fine non è efficace“.
Inoltre, ha poi aggiunto De Donno, “il vantaggio di utilizzare donatori è che abbiamo la possibilità di modularne la produzione. I nostri appelli stanno anche portando i loro frutti, solo oggi ho ricevuto 300 mail di volontà a donare il plasma da parte di guariti di coronavirus”.
Perché i morti sono ancora tanti?
Il contagio, stando agli ultimi bollettini della protezione civile, è in diminuzione, mentre il numero dei decessi rimane alto.
Come spiegare questo fenomeno? Si possono fare tre considerazioni: “Quello che si sta vedendo – ha descritto De Donno – è che i medici di famiglia iniziano a trattare i pazienti a domicilio e di conseguenza si blocca la patologia nelle prime fasi”. Un secondo punto riguarda invece il fatto che ” si è imparato a trattare le forme intermedie”, che non vanno più in rianimazione, “ma si fermano nell’intermedio respiratorio e questo ha permesso alle rianimazioni di svuotarsi”.
Infine, la mortalità “è la dimostrazione che i pazienti rimangono a casa di più e molte volte muoiono a casa o nelle strutture secondarie”.