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Antartide e Medinea, il comandante racconta la prigionia dei pescatori liberati

Prigionia

I 18 pescatori liberati dopo una prigionia in Libia durata 108 giorni sono tornati in Italia: il comandante e l'equipaggio raccontano l'incubo vissuto.

Le due imbarcazioni Antartide e Medinea, con a bordo i 18 pescatori di Bengasi tenuti prigionieri in Libia per 108 giorni, hanno raggiunto il porto di Mazara del Vallo, alle ore 10:15 circa di domenica 20 dicembre. Sulla banchina del porto, pronti ad accogliere i pescherecci, il sindaco Salvatore Quinci, un comitato di accoglienza e, soprattutto, i familiari degli uomini di mare.

I pescatori liberati dalla prigionia sbarcano in Italia

All’arrivo nel porto nuovo di Mazara del Vallo, prima di consentire lo sbarco, tutto l’equipaggio presente sulle due navi è stato sottoposto a un test rapido. Una volta stabilita la negatività al coronavirus, il personale medico ha autorizzato i pescatori a lasciare le imbarcazioni e tornare sulla terraferma.

Antartide e Medinea hanno affrontato un lungo viaggio durato quasi due giorni e hanno percorso circa 500 miglia nel Mediterraneo per tornare in Italia. Per tutto il tempo, i pescherecci sono stati scortati dalla nave Margotti della Marina Militare, che ha garantito il successo dell’impresa.

Lo sbarco dei 18 pescatori ha consentito un emozionante e commovente ricongiungimento tra gli ex-prigionieri e i propri cari, commentato dal sindaco Salvatore Quinci con le seguenti parole: «Oggi è un giorno di festa. Ogni discussione e ogni recriminazione la lasciamo alle giornate che verranno. Oggi Mazara si scopre più serena e felice: c’è grande emozione. Finalmente finisce un incubo».

Le testimonianze del comandante e dell’equipaggio

A proposito dell’«incubo» vissuto dai pescatori, si sono espressi il capitano della Medinea, Pietro Marrone, e alcuni membri dell’equipaggio. Il capitano ha dichiarato: «Siamo stati trattati malissimo ma, ora, sono felice di essere qui». Uno dei pescatori, invece, ha brevemente descritto l’esperienza vissuta con le seguenti parole: «Ci facevano dormire a terra, il cibo era scadente e siamo stati per settimane a piedi nudi. È stato terribile. Non sapevamo nulla di ciò che accadeva in Italia, ci tenevano all’oscuro di tutto».

Un pescatore indonesiano di 43 anni, poi, ha raccontato la prigionia aggiungendo altri particolari e riferendo alle forze dell’ordine di aver sentito voci a proposito di un ipotetico scambio di prigionieri tra Italia e Libia. Il 43enne ha anche affermato: «Siamo stati separati quasi subito dagli italiani. Ci hanno fatto cambiare prigione tre volte. All’alba bussavano forte alla porta per svegliarci: abbiamo subito umiliazioni e violenze psicologiche».