La crisi dell’ex Ilva torna a farsi sentire con forza: l’ultimo incontro a Palazzo Chigi tra Governo e sindacati si è concluso con una rottura netta, aprendo la strada a uno sciopero di 24 ore. Al centro dello scontro, il futuro dello stabilimento siderurgico, la gestione della Cassa integrazione e le prospettive di rilancio industriale, tra investitori incerti e timori dei lavoratori per la chiusura dei siti.
Ex Ilva, rottura totale tra Governo e sindacati
Secondo Palazzo Chigi, l’obiettivo del Governo resta quello di proteggere l’occupazione attraverso formazione e manutenzione degli impianti, garantendo così la sicurezza dei lavoratori e un potenziale aumento della capacità produttiva. Tuttavia, i sindacati non si sono detti convinti.
La Uilm teme che con la fine della Cassa integrazione a febbraio, dal 1° marzo tutti i lavoratori possano trovarsi senza copertura, configurando uno scenario “catastrofico”, secondo il segretario Rocco Palombella. La Fim-Cisl e la Fiom-Cgil criticano il piano industriale per il suo ridimensionamento delle attività e chiedono un intervento diretto della Presidenza del Consiglio. Anche Usb denuncia che la formazione prevista, pari a 93mila ore per 1.550 lavoratori, servirebbe solo a compensare l’assenza di attività produttiva, senza garantire un reale rilancio industriale.
In questo contesto, le trattative per la vendita del gruppo rimangono aperte e delicate, con più potenziali acquirenti e nessuna decisione definitiva, mentre l’ex Ilva torna al centro di una crisi industriale e sociale profonda.
Ex Ilva, rottura tra Governo e sindacati: proclamato sciopero di 24 ore
L’incontro previsto ieri a Palazzo Chigi per discutere il futuro dell’ex Ilva si è trasformato in un confronto interrotto. I sindacati Fim, Fiom e Uilm hanno sospeso bruscamente i colloqui con il Governo e annunciato uno sciopero di 24 ore a partire da oggi, mercoledì 19 novembre, accompagnato da assemblee in tutti gli stabilimenti.
La tensione è esplosa nonostante l’esecutivo avesse chiarito che la Cassa integrazione non sarebbe stata estesa a 6.000 lavoratori, ma si sarebbe limitata a 4.450 addetti, con 1.550 persone coinvolte in percorsi di formazione professionale mirati alle nuove tecnologie green per l’acciaio. Il Governo aveva inoltre fatto sapere di essere in contatto con potenziali investitori, tra cui due fondi americani e un soggetto extraeuropeo, sottolineando l’intenzione di mantenere attivo il dialogo con le parti sociali. Tuttavia, le sigle sindacali hanno giudicato il piano presentato il 11 novembre come un progetto di dismissione, minacciando la chiusura degli stabilimenti, e hanno chiesto il ritiro completo della proposta, provocando la fine della trattativa.