> > Femminicidio e suicidio: le responsabilità di uno Stato assente

Femminicidio e suicidio: le responsabilità di uno Stato assente

femminicidio e suicidio le responsabilita di uno stato assente python 1754569835

Un caso che scuote le coscienze: il femminicidio di Sara e il suicidio di Stefano mettono in luce le falle del sistema.

È una storia che avrebbe dovuto rimanere solo un triste racconto di violenza, ma si è trasformata in un dramma ben più complesso, che coinvolge non solo le famiglie delle vittime, ma l’intera società. Sara Campanella è stata uccisa, e Stefano, il suo presunto assassino, si è tolto la vita in carcere. Diciamoci la verità: dietro a questi eventi tragici si nasconde una questione che merita una riflessione approfondita sulla responsabilità delle istituzioni.

È troppo facile addossare la colpa a un singolo individuo e ignorare il contesto in cui questi eventi si sono verificati.

Una tragedia annunciata

La realtà è meno politically correct: il femminicidio di Sara non è un caso isolato, ma un sintomo di una cultura che spesso giustifica la violenza. Secondo i dati forniti da numerosi studi, in Italia, una donna è uccisa ogni tre giorni per motivi legati alla violenza di genere. Eppure, ciò che rende questo caso ancora più inquietante è il suicidio di Stefano, un evento che molti hanno definito come una conseguenza diretta dell’assenza di supporto psicologico e sociale adeguato. L’avvocato Stefano Cultrera, legale del giovane, ha dichiarato di aver chiesto una perizia psichiatrica che gli è stata negata. Questo solleva un interrogativo scomodo: quanto è responsabile lo Stato in queste tragedie? Se non garantisce i servizi necessari per la salute mentale, sta forse permettendo che si verifichino situazioni estreme e disperate?

Il re è nudo, e ve lo dico io: non basta condannare il gesto di Stefano per risolvere il problema alla radice. Esiste una rete sociale e istituzionale che deve essere rafforzata, soprattutto per coloro che, come lui, si trovano in situazioni di vulnerabilità. L’idea che la giustizia possa essere servita solo con la punizione è riduttiva e pericolosa. La prevenzione, la formazione e l’accesso a risorse adeguate sono fondamentali per spezzare questo ciclo di violenza e disperazione.

Un sistema che fallisce

Analizzando la situazione, appare evidente che non possiamo più accettare scuse o giustificazioni. Le statistiche parlano chiaro: le risorse destinate ai servizi di salute mentale sono insufficienti e spesso male allocate. In un paese dove la violenza contro le donne continua a crescere, le istituzioni devono rispondere a questa emergenza con maggiore serietà. La mancanza di interventi tempestivi e efficaci è un chiaro segnale di un sistema che, in molte occasioni, fallisce nel suo compito primario di proteggere i cittadini.

So che non è popolare dirlo, ma le famiglie di Sara e Stefano non sono sole in questo dolore. È una ferita collettiva che ci riguarda tutti e che, se ignorata, continuerà a ripetersi. La risposta non può essere solo emotiva; deve essere razionale e sistematica. Dobbiamo chiedere a gran voce che il governo investa in politiche che non solo puniscano i colpevoli, ma che costruiscano una rete di supporto per le vittime e per coloro che potrebbero diventare futuri aggressori.

Riflessioni finali

La conclusione di questa tragica vicenda deve spingerci a una riflessione profonda. La società non può permettersi di rimanere indifferente di fronte a eventi di tale gravità. Invito tutti a un pensiero critico: cosa possiamo fare per cambiare questa narrativa? Cosa possiamo fare per garantire che casi come quello di Sara e Stefano non si ripetano mai più? La risposta richiede impegno, coscienza e, soprattutto, una volontà collettiva di affrontare le radici del problema.