Parigi si è svegliata stordita, una sorpresa forse un po’ amara… Il primo ministro Sébastien Lecornu, 38 anni, volto giovane ma già navigato della politica francese, ha presentato le sue dimissioni a Emmanuel Macron. E il presidente le ha accettate. Senza esitazioni. La notizia, confermata dall’Eliseo alle prime ore del mattino e ripresa da Le Monde e France Info, ha fatto crollare in poche ore quel fragile equilibrio costruito in settmane di trattative.
Il governo Lecornu muore prima ancora di nascere davvero.
Primo ministro Lecornu presenta le dimissioni: un governo già in frantumi?
Solo ieri la presidenza aveva reso pubblica la lista dei 18 ministri. Una squadra definita “di continuità”, quasi un copia-incolla del precedente esecutivo. Dodici volti assolutamente noti, tra cui Jean-Noël Barrot agli Esteri e Gérald Darmanin alla Giustizia. Nonostante tutto la promessa era un’altra: “una rottura, una nuova stagione politica”. Lo aveva detto il primo ministro Lecornu nella sua prima intervista a TF1, il giorno dopo la nomina. Ma quella rottura, evidentemente, non è mai arrivata.
Bruno Retailleau, leader dei Républicains e riconfermato agli Interni, ha usato toni severi: “Questo esecutivo non riflette il cambiamento che la Francia aspettava”. Frase secca, riportata da Le Figaro, che ha subito scatenato tensioni nella maggioranza. Il suo partito ha convocato d’urgenza una riunione. Alcuni parlamentari della destra minacciano di lasciare la coalizione. Tutto a meno di 24 ore dal primo Consiglio dei ministri.
Un’aria di déjà vu? Terzo governo in un anno, quinto dall’inizio dell’era Macron. E ogni volta la stessa scena: nomine, entusiasmi brevi, poi crisi. Stavolta, però, il contesto è più fragile. Finanze pubbliche al limite, debito al 115% del PIL. Una Francia che guarda Bruxelles con il fiato corto e un’opinione pubblica sempre più disillusa.
Macron accetta le dimissioni del primo ministro Lecornu: cosa è accaduto?
Quando l’annuncio delle dimissioni è arrivato, Emmanuel Macron era già rientrato all’Eliseo. Ha ricevuto Lecornu in serata, incontro definito “cordiale ma inevitabile” da una fonte vicina al palazzo, citata da France Inter. Non c’è stata una vera sorpresa, raccontano così le fonti, il premier aveva confidato il suo malessere già domenica, dopo un week-end di fuoco tra riunioni e media che parlavano di “governo fantasma”.
Il progetto politico di Lecornu — quello di “ricucire una Francia divisa” — si è dissolto prima del discrso di politica generale previsto per martedì. Discorso che non si terrà mai. Né lui né i suoi ministri potranno difendere il bilancio 2026, l’obiettivo che avrebbe dovuto segnare il suo primo vero test. “Era stremato, prigioniero di un sistema che non voleva cambiare davvero”, confida un consigliere all’AFP.
La scena politica, oggi, è un campo minato. Dopo la dissoluzione dell’Assemblea nel giugno 2024, il Paese vive sospeso tra tre blocchi: la sinistra frammentata, il centro macronista e la destra radicale. Nessuno con la maggioranza. E ora, senza un premier, il rischio di stallo è totale.
Le reazioni non si sono fatte attendere, Boris Vallaud, socialista, ha parlato di “fallimento della macronia”. Marine Le Pen, in un’intervista a CNews, ha attaccato duramente: “Richiamare Le Maire, l’uomo del disastro economico, è stato l’ultimo errore”. Il riferimento è alla nomina più discussa: quella di Bruno Le Maire, l’ex ministro dell’Economia che avrebbe dovuto assumere la guida delle Forze armate.
Una mossa che molti hanno letto come segnale di debolezza più che di rinnovamento. Ora non resta che vedere cosa succederà…
Il presidente Macron deve ricominciare da zero… L’Eliseo, fanno sapere, “avvierà consultazioni rapide per individuare una nuova figura di sintesi”. Ma quale sintesi è ancora possibile? Dopo cinque governi, un Paese spaccato e un debito forse record, la domanda resta sospesa, quasi retorica.
E mentre i francesi accendono le radio, i commentatori di France Bleu parlano già di “crisi istituzionale profonda”. La sensazione è che non si tratti solo della fine del governo Lecornu, potrebbe essere qualcosa di più secondo alcuni forse, la fine di un ciclo politico?