La strage di Erba torna sotto i riflettori, ma la giustizia italiana mette un punto fermo. Con una decisione destinata a far discutere, la Corte di Cassazione ha respinto la richiesta di revisione del processo a carico di Rosa Bazzi e Olindo Romano, condannati all’ergastolo per l’omicidio di quattro persone nel 2006. Una sentenza netta, che conferma la solidità delle prove a loro carico, nonostante le numerose incongruenze, testimonianze contraddittorie e nuovi elementi emersi nel corso degli anni.
Per la Suprema Corte, non ci sono margini per riaprire il caso: la verità giudiziaria resta intatta, ma l’opinione pubblica continua a interrogarsi.
Strage di Erba, il verdetto della Cassazione
Sono trascorsi anni dalla strage di Erba dell’11 dicembre 2006, ma la memoria di quell’orrore è ancora viva. Quattro le vittime: Raffaella Castagna, il figlio di due anni Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina Valeria Cherubini. Colpiti con armi da taglio e spranghe, poi l’incendio per cancellare ogni traccia. Tuttavia, una testimonianza cambia tutto.
Olindo Romano e Rosa Bazzi vengono condannati all’ergastolo. Ma la battaglia legale non si è mai fermata: secondo l’avvocato Fabio Schembri, nuove evidenze potrebbero riscrivere la storia. Per la Procura, invece, si tratta solo di congetture prive di fondamento.
Il 25 marzo, la Corte di Cassazione ha messo la parola fine: respinto il ricorso dei legali e confermata la linea già espressa dalla Corte d’Appello di Brescia, che lo scorso luglio aveva escluso la possibilità di revisione del processo.
Strage di Erba: sfuma la speranza di revisione, Cassazione inflessibile
Nessuna nuova prova e quelle esistenti restano solide. La Cassazione ha respinto la richiesta di revisione avanzata dai legali di Rosa Bazzi e Olindo Romano, condannati all’ergastolo per la strage dell’11 dicembre 2006 in via Diaz a Erba, costata la vita a Raffaella Castagna, al figlio Youssef, alla madre Paola Galli e alla vicina Valeria Cherubini.
Per la Suprema Corte, le incongruenze evidenziate negli anni – rilanciate da media e difesa – non scalfiscono la tenuta logico-giuridica delle prove: il riconoscimento del testimone Mario Frigerio, la traccia di sangue sull’auto di Romano e le confessioni, pur ritrattate. I giudici sottolineano anche l’esistenza di ammissioni scritte, come nel diario di Olindo, ritenute ulteriori conferme della colpevolezza.
I giudici della Cassazione hanno ignorato le nuove analisi presentate dalla difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi, inclusa la consulenza sul ricordo di Mario Frigerio, unico sopravvissuto alla strage e marito di una delle vittime. Secondo neuroscienziati e periti, i danni da inalazione di fumo e il trauma subito avrebbero potuto alterarne la memoria, rendendo inattendibile il successivo riconoscimento di Olindo. Tuttavia, per la Suprema Corte, Frigerio identificò l’uomo subito e senza dubbi, come da sentenza definitiva.
Le contraddizioni documentate, comprese intercettazioni e fax in cui Frigerio negava di ricordare, non hanno scalfito il verdetto. Nessuna apertura al confronto scientifico o al dibattimento.
“La base di raffronto rispetto alle nuove prove è costituita da un tessuto logico-giuridico di notevole solidità non solo per la forza espressa da ognuna delle principali prove acquisite in ragione della loro autonoma consistenza ma anche per la presenza di innumerevoli e minuziosissimi elementi di riscontro”, si legge nella decisione.