Il tema del fine vita in Italia assume una nuova dimensione con il caso di “Libera”, una donna di 55 anni paralizzata dal collo in giù a causa della sclerosi multipla. Pur avendo ottenuto l’autorizzazione al suicidio assistito, fino a oggi non era stato possibile attuarlo per la mancanza di un dispositivo che le permettesse di somministrarsi autonomamente il farmaco letale.
Ora, però, si profila una svolta: è stato individuato un nuovo macchinario in grado di rendere possibile la procedura.
Suicidio assistito: il dispositivo e il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione
Il nuovo strumento, individuato dall’Ente di supporto tecnico-amministrativo regionale (ESTAR), collega un puntatore oculare a una pompa infusionale capace di iniettare il farmaco letale nelle vene del paziente.
La soluzione è arrivata dopo che il ministero della Salute, l’Istituto superiore di sanità e il Consiglio superiore di sanità avevano dichiarato l’assenza di dispositivi idonei nel territorio nazionale. In seguito alla scoperta, il giudice fiorentino ha imposto che vengano effettuate verifiche tecniche e fornite al medico di Libera tutte le attrezzature necessarie.
L’associazione Luca Coscioni, che assiste la donna, ha definito la decisione “un passo di civiltà e coerenza giuridica”, sottolineando come il diritto a scegliere sulla propria fine non possa rimanere teorico ma debba essere concretamente garantito dallo Stato e dal servizio sanitario.
Suicidio assistito, trovato un macchinario per consentire a ‘Libera’ di accedervi
È stato finalmente individuato un dispositivo che consente a “Libera” – nome di fantasia scelto per tutelare la sua identità – di autosomministrarsi un farmaco letale, nonostante la paralisi totale dal collo in giù causata dalla sclerosi multipla di cui soffre dal 2007. La donna, 55 anni, era già stata autorizzata a ricorrere al suicidio assistito, ma finora mancava uno strumento che le permettesse di compiere il gesto in autonomia.
Il Tribunale di Firenze ha ora ordinato all’Asl Toscana Nord Ovest di fornire entro quindici giorni il dispositivo necessario e il farmaco, consentendo così la piena attuazione del suo diritto all’autodeterminazione terapeutica. Si tratterebbe del primo caso in Italia di suicidio assistito effettuato tramite un meccanismo di autosomministrazione controllato da una persona completamente immobilizzata.