Il tragico suicidio di Paolo Mendico ha profondamente scosso la comunità scolastica e acceso un dibattito sulle responsabilità della dirigente dell’istituto frequentato dal giovane. A pochi giorni dall’accaduto, la preside, finita sotto accusa sui media e sui social per una presunta frase rivolta agli alunni, rompe il silenzio per difendere il proprio operato e chiarire la propria posizione.
Il suicidio di Paolo Mendico: dietro l’apparente normalità anni di bullismo
Il suicidio di Paolo Mendico ha scosso profondamente la comunità di Cassino, lasciando domande senza risposta e un senso di dolore diffuso. Il ragazzo, solo 14 anni, aveva cercato di gestire con impegno le difficoltà scolastiche e personali, tentando di conciliare studio, hobby e relazioni familiari.
Paolo, secondo quanto emerge dalle chat di classe, aveva chiesto di poter stare in prima fila per seguire meglio le lezioni, ma in classe non è mai arrivato: di lì a poco ha compiuto la tragica decisione di togliersi la vita. Dietro un’apparente normalità si nascondevano in realtà tensioni profonde, segnate da anni di umiliazioni e bullismo. Nel tentativo di sfuggire ai commenti offensivi, Paolo aveva persino cambiato il proprio aspetto, tagliandosi i capelli biondi che lo rendevano bersaglio di derisioni.
La sera della tragedia, dopo aver cenato con i genitori, si era chiuso nella sua stanza, dove ha compiuto l’estremo gesto. La Procura di Cassino ha aperto un’indagine per istigazione o aiuto al suicidio e ha sequestrato i dispositivi elettronici del ragazzo, nel tentativo di fare luce su possibili episodi di bullismo o pressioni online che potrebbero aver aggravato la sua sofferenza.
La suicidio di Paolo Mendico e le accuse alla dirigente scolastica: lei si difende
A pesare ulteriormente è stata la presunta frase attribuita alla dirigente scolastica dell’istituto, Gina Antonetti, secondo cui gli studenti non avrebbero dovuto parlare con le forze dell’ordine perché sarebbe stato “pericoloso”. La dichiarazione ha suscitato indignazione e acceso il dibattito, ma la dirigente ha chiarito di non aver mai voluto ostacolare le indagini.
“Mi chiamano assassina ma non mi dimetto. Sono diventata responsabile di cose che non ho visto”, ha dichiarato a Repubblica.
Nel paese cresce il silenzio e la riflessione, mentre il 20 settembre una fiaccolata ricorderà il ragazzo e accompagnerà simbolicamente il suo ultimo viaggio.