> > “L’AI non deve vendere al posto tuo. Deve liberarti per parlare meglio co...

“L’AI non deve vendere al posto tuo. Deve liberarti per parlare meglio con i clienti” - Intervista a Ivan Bosnjak, imprenditore e digital strategist

“Il digitale deve supportare, non sostituire, il contatto diretto con i clienti

L’Intelligenza Artificiale è ovunque: nei piani industriali, nelle presentazioni commerciali, nelle promesse delle piattaforme. C’è chi assicura che i bot sostituiranno interi team di vendita e di customer care, riducendo drasticamente i costi e aumentando la produttività.

Ivan Bosnjak, fondatore di Beconcept e consulente per brand internazionali e PMI italiane, la pensa in modo diverso. Per lui l’AI è un’infrastruttura potentissima, ma l’ultimo miglio tra il dubbio e l’acquisto deve restare umano.

Lo abbiamo intervistato per capire perché.

Domanda: Ivan Bosnjak, tutti parlano di AI. Da dove partiresti per mettere ordine?

Risposta: Partirei da un punto molto semplice. L’AI non è una moda passeggera, è già parte del nostro lavoro quotidiano. Io la uso ogni giorno per analizzare dati, costruire report, simulare scenari che qualche anno fa avrebbero richiesto giorni di lavoro. Il problema nasce quando da strumento diventa feticcio. Vedo aziende che vogliono “metterla davanti”, cioè sostituire con un algoritmo tutto ciò che tocca il cliente: bot ovunque, assistenti virtuali che dovrebbero fare consulenza, sistemi automatici che provano a chiudere una vendita da soli. Come se bastasse dire “è AI” perché sia per forza meglio. Non funziona così.

Domanda: Dove funziona davvero l’Intelligenza Artificiale, nella tua esperienza di digital strategist?

Risposta: Nel motore, non in vetrina. Nel back-office l’AI è straordinaria: elabora enormi quantità di dati, individua pattern, aiuta a capire quali prodotti performano meglio, come si muovono i clienti, dove si disperde fatturato. È perfetta per automatizzare tutto ciò che è ripetitivo e a basso valore: reportistica, estrazioni, classificazioni. In sintesi, l’AI è un motore che ti restituisce lucidità per prendere decisioni. Il guaio è che molti fanno un passo in più e decidono di metterla a parlare con il cliente come se fosse un commerciale esperto o un consulente. È lì che la macchina inizia a grippare.

Domanda: Perché sei così critico sull’uso dei chatbot in prima linea, tra vendite e assistenza?

Risposta: Perché se guardiamo i numeri reali la storia è diversa da quella che raccontano i profeti dell’automazione. Una larga maggioranza di persone preferisce ancora parlare con un essere umano quando ha un dubbio o deve fare una scelta importante. Una percentuale significativa dichiara apertamente che i chatbot non capiscono nemmeno il problema. E quando confrontiamo vendite seguite da persone con vendite gestite da bot, le conversioni con l’intervento umano restano nettamente superiori.

C’è poi un tema strutturale. Uno studio pubblicato su ScienceDirect, ad esempio, mostra che solo una piccola frazione del traffico e-commerce si trasforma in acquisti. Il resto si blocca prima. Perché online manca quasi tutto ciò che, in un negozio fisico, ti fa dire “mi fido e compro”: la faccia, il tono di voce, la rassicurazione, la possibilità di fare domande scomode.

Il customer care umano, in questo scenario, non è un costo da tagliare. È il ponte tra “ci penso” e “compro”. Non a caso ricerche internazionali sul comportamento dei consumatori indicano che una grande maggioranza di utenti preferisce ancora un operatore in carne e ossa per il supporto, e molti dichiarano di essere disposti ad aspettare in coda pur di parlare con una persona, invece che avere risposta immediata da un bot. In pratica stanno scegliendo fiducia, non velocità.

Domanda: Quindi l’AI non dovrebbe vendere? È una posizione molto netta.

Risposta: La mia posizione è precisa: l’AI non dovrebbe vendere al posto tuo, soprattutto se sei una piccola o media impresa che deve ancora conquistare fiducia. Se ti chiami Nike o Amazon puoi permetterti un livello molto alto di automazione in prima linea, perché il brand fa da garanzia e la fiducia è già stata costruita negli anni. Il cliente sa chi sei, ha già comprato, il rischio percepito è basso.

Ma se sei una PMI che vende centinaia di prodotti tecnici a clienti che non ti conoscono, la situazione è diversa. Ogni ordine pesa, un errore può costare molto, e chi compra deve decidere se fidarsi di uno sconosciuto su internet. In questo contesto mettere un bot in prima linea significa togliere proprio ciò che il cliente sta cercando: una persona che si prenda la responsabilità della risposta.

Dire all’AI “vendi al posto mio” è, in questi casi, come mandare un GPS a fare il lavoro di una guida turistica.

Domanda: In che senso l’AI è un GPS e il venditore una guida turistica?

Risposta: Il GPS sa tutto sulle strade: calcola il percorso più veloce, segnala il traffico, aggiorna la rotta se sbagli. È oggettivo, efficiente, infallibile dal punto di vista delle informazioni. La guida turistica fa un altro mestiere. Osserva il gruppo, capisce se sei stanco o annoiato, si ferma quando vede un dettaglio che ti colpisce, cambia itinerario se percepisce una curiosità diversa. Ti racconta storie, risponde a domande impreviste, gestisce anche le emozioni.

L’AI oggi è un GPS molto evoluto. Perfetta per dirti “come arrivo da A a B”, per suggerire i passi logici di un processo. Ma nelle vendite spesso non conosci neanche la destinazione prima di aver parlato con il cliente. Ti serve qualcuno che chieda, ascolti, interpreti, rassicuri, negozi. Tutto questo, oggi, lo fa ancora meglio un essere umano.

Domanda: Qual è allora, per Ivan Bosnjak, il modo sano di usare l’Intelligenza Artificiale in azienda?

Risposta: La vedo così: l’AI deve potenziare le persone, non rimpiazzarle. In particolare nell’ultimo tratto prima della decisione di acquisto. La sequenza corretta, quando lavoro con le aziende, è questa.

Primo: usare l’AI per capire meglio il contesto. Analizzare dati, segmentare clienti, individuare pattern e opportunità nascoste. Secondo: automatizzare con l’AI tutto ciò che è ripetitivo e a basso valore aggiunto, dalla reportistica alle risposte standard, dagli alert interni alle operazioni amministrative. Terzo: restituire tempo e risorse al team umano, che può concentrarsi su ciò che nessuna macchina replicherà mai in modo autentico, cioè la relazione. Quarto: progettare esperienze ibride in cui il cliente percepisce efficienza e intelligenza del sistema, ma sa sempre che dietro c’è una persona responsabile a cui può rivolgersi.

Quando costruisco ecosistemi digitali, sia per i clienti di Beconcept sia nei progetti di cui divento socio, l’architettura è sempre questa: AI come infrastruttura, esseri umani come interfaccia.

Domanda: Molti imprenditori continuano a vedere il customer care come un costo. Tu lo tratti come un investimento. Perché?

Risposta: Perché il customer care è il punto in cui la narrazione dell’azienda smette di essere teoria e diventa esperienza vissuta. Lì non puoi più nasconderti dietro la comunicazione, devi risolvere un problema vero. Se lo consideri solo una voce di costo, la tentazione è tagliare persone e sostituirle con bot. Ma nessuno calcola quanto costa, in termini di sfiducia e reputazione, un cliente che si sente abbandonato da un sistema automatico.

Io lo considero un asset strategico. È il luogo in cui il cliente decide se sei affidabile, il filtro tra un piccolo incidente e una crisi di reputazione, lo spazio dove puoi trasformare un quasi cliente in un ambasciatore se si sente preso sul serio. L’AI qui è utilissima per dare contesto agli operatori, suggerire priorità, recuperare storico e informazioni. Ma la responsabilità della relazione deve rimanere nelle mani di persone in carne e ossa.

Domanda. Che cosa diresti a un imprenditore che oggi sta valutando di sostituire parte del team con bot “intelligenti”?

Risposta: Gli chiederei qual è il suo vero problema in questo momento: gestire volumi enormi o conquistare fiducia. Se l’azienda è un colosso che deve rispondere a milioni di richieste al giorno, spingere fortissimo sull’automazione ha senso. Ma la maggior parte delle imprese italiane non è in quella situazione. Ha un’altra sfida: farsi scegliere, farsi ricordare, farsi raccomandare.

In questo caso il vantaggio competitivo non è essere più automatici degli altri, ma più umani dove gli altri sono diventati freddi. L’AI serve per costruire fondamenta più intelligenti, per migliorare i processi e le decisioni, non per eliminare la voce e il volto dell’azienda.

Chi lo capisce prima degli “esperti” non verrà sostituito dalle macchine. Userà le macchine per diventare più forte, più lucido e, paradossalmente, ancora più umano nel rapporto con i propri clienti.

Chi è Ivan Bosnjak

Ivan Bosnjak è un imprenditore digitale e digital strategist. Nel 2018 ha co-fondato Beconcept, full-stack digital agency con sede in Italia, che progetta siti web ad alte performance, strategie di marketing data driven e percorsi di posizionamento per aziende e personal brand. Con il suo team ha lavorato per brand internazionali come Jeep, Rio Mare, Loro Piana, Land Rover e per numerose PMI italiane nei settori manifatturiero, servizi B2B e lusso. Le sue specializzazioni comprendono digital strategy, sviluppo di ecosistemi digitali, reputation management e costruzione della fiducia online. L’obiettivo dichiarato di Ivan Bosnjak è trasformare il digitale da semplice voce di spesa a vero asset di business e di crescita per imprenditori e imprese.