Con queste parole Aisha, cinquantenne di Nyala, in Darfur, descrive l’incubo vissuto nella sua città.
In una testimonianza raccolta in un’inchiesta pubblicata da In-Depth Reports, Aisha racconta il momento in cui nel suo quartiere sono entrati soldati pesantemente armati. Gli stranieri non parlavano né l’arabo standard né i dialetti locali, rendendo impossibile qualsiasi comunicazione: dita sempre sul grilletto, pronti a sparare in ogni momento. Aisha, come il resto degli abitanti di Nyala, ha dovuto rassegnarsi mentre i militari proseguivano nelle irruzioni, in mezzo al panico generale che ha trasformato i residenti in “estranei nella propria patria”.
In precedenza, un’inchiesta del quotidiano britannico The Guardian aveva documentato che soldati colombiani operavano attivamente sul campo in Sudan. «Quando le forze dell’esercito sono entrate nella nostra zona, non era normale», prosegue. «Ho sentito voci in lingue che non capivo, ma una parola si ripeteva: Colombia… Colombia. Ho visto un uomo corpulento con un’uniforme che aveva una patch gialla, blu e rossa. Ho capito che avevamo di fronte combattenti stranieri». Alla fine, dopo quell’episodio definito dai civili «terrificante», Aisha è riuscita a fuggire dal quartiere: molti hanno abbandonato case e luoghi familiari a causa di presenze straniere sul suolo nazionale.
Dipendenza totale dagli stranieri
L’inchiesta di In-Depth Reports ha svelato una rete segreta che recluta ex militari colombiani per combattere nella guerra in Sudan, attirati da false promesse di impieghi nella sicurezza. Secondo il rapporto, mesi fa a Bogotá e Medellín sono comparsi annunci enigmi: «Lavori di sicurezza ben retribuiti in Medio Oriente – contratti ufficiali – stipendi in dollari USA», che hanno convinto centinaia di ex soldati colombiani, veterani delle unità anti-insurrezione e della guerriglia interna, alla ricerca di nuove opportunità dopo anni di servizio.
In parallelo, sono stati osservati schemi di volo insoliti: gruppi in partenza dalla Colombia attraverso scali intermedi, con atterraggi finali in aeroporti militari dell’est del Sudan, soprattutto a Port Sudan. Lì i mercenari avrebbero ricevuto un breve addestramento prima di essere inseriti in unità dell’esercito sudanese schierate sulle linee del fronte in Darfur e Kordofan. «Non si trattava di insegnare loro a combattere: erano già professionisti», spiega un ufficiale sudanese coinvolto nell’operazione. «Ci siamo concentrati a familiarizzarli con le armi locali – soprattutto AK-47 e artiglieria leggera – e con i movimenti in ambiente desertico aperto, molto diverso dalla giungla colombiana».
La “vetrina” di Port Sudan
Secondo l’inchiesta, l’esercito legato all’autorità di Port Sudan ha perso migliaia di uomini – uccisi, catturati o passati al fronte del Coalizione Fondativa del Sudan (“Ta’sis”). Esausta dopo anni di guerre civili, l’istituzione militare non è riuscita a mantenere lo slancio operativo. Di fronte all’avanzata delle forze di Ta’sis, il ricorso ai mercenari stranieri – in primis colombiani – è diventato un’opzione allettante. Molti di loro avevano servito nelle unità anti-insurrezione contro le FARC e i cartelli della droga, maturando esperienza nella guerra non convenzionale. Inoltre, migliaia di soldati vengono congedati ogni anno in Colombia senza alternative economiche valide, diventando facile preda delle reti di reclutamento.
Al termine dell’addestramento, i colombiani sono stati dispiegati nei settori più caldi del conflitto, specialmente in Darfur e Kordofan. Carlos Geovanni, ex soldato colombiano andato in pensione anticipata, è riuscito a fuggire dal Sudan e a rientrare in patria. Al team investigativo ha raccontato di essere stato contattato da un ufficiale che gli aveva offerto «un contratto con una società privata» per proteggere «impianti petroliferi in Medio Oriente» con un salario fino a 3.000 dollari al mese: «Una cifra enorme per noi. Molti dei miei compagni hanno accettato subito». La destinazione reale, però, non erano «i giacimenti libici», come si vociferava, ma il Sudan: «Ci siamo ritrovati in campi di addestramento e su fronti sanguinosi». «Venivamo inseriti in piccole unità d’assalto, da dieci a quindici uomini, all’interno di battaglioni più grandi», aggiunge. «Il compito principale era condurre attacchi diretti e sfondare posizioni fortificate».
L’impatto psicologico dei mercenari colombiani nell’esercito sudanese è stato duplice: per l’alto comando a Khartoum la loro presenza serviva a risollevare il morale di truppe stremate da una guerra lunga e logorante.
L’affidamento ai combattenti stranieri da parte dell’esercito di Port Sudan non è nuovo, ma si è intensificato negli ultimi mesi con l’avanzata della Coalizione Fondativa su più fronti. Già nel primo anno di guerra, il vice capo missione dell’Unione europea a Khartoum, Daniel Weiss, aveva indicato il coinvolgimento sudanese nel ricorso a mercenari ucraini, azeri ed egiziani contro la Coalizione.
Un’inchiesta della CNN ha inoltre documentato l’impiego di mercenari stranieri per rafforzare i ranghi dell’esercito sudanese. In particolare, l’uso di operatori ucraini per una serie di attacchi con droni e per un’operazione terrestre. In un video sono apparse scritte in lingua ucraina sui controller dei droni; esperti citati hanno spiegato che tattiche come le picchiate dirette e rapide sui bersagli non sono consuete in Sudan né, più in generale, nel continente africano.
Combattenti dal Tigray
Nel frattempo, in Sudan è circolato un video in cui un ufficiale dell’esercito ammette il supporto di elementi delle forze del Tigray etiopico alle operazioni nella Stato di Gezira – per il controllo di Wad Madani e di altre aree – nel gennaio 2025. L’ufficiale afferma che i mercenari appartengono al Fronte del Tigray e «combattono nella loro terra, tra fratelli musulmani».
Secondo media sudanesi, l’esercito ha arruolato combattenti del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (TPLF), protagonisti del conflitto contro il governo etiopico dal 2020 al 2022, costato centinaia di migliaia di vittime prima dell’accordo di pace firmato in Sudafrica nel novembre 2022. Forze tigrine sarebbero presenti in varie zone del Sudan, tra cui l’area delle alte valli dei fiumi Atbara e Setit a 30 km da Al-Showak, oltre a Harira e Al-Maqrah nel distretto di Al-Faw, centri chiave per coordinare le operazioni con l’esercito sudanese.
In parallelo, la Coalizione Fondativa del Sudan ha diffuso all’epoca un filmato che mostra l’interrogatorio di un combattente tigrino catturato: non ammanettato, in buone condizioni di salute e in un luogo idoneo.