Argomenti trattati
Il caso dell’omicidio di Maria Campai, una donna di 42 anni di origini romene, ha scosso profondamente la comunità di Viadana, in provincia di Mantova. Il giovane, oggi maggiorenne, che ha perpetrato questo crimine, è stato condannato a 15 anni e 8 mesi di reclusione dal Tribunale dei Minori di Brescia. Questo tragico evento si è verificato lo scorso settembre, quando la vittima, residente a Parma, si era recata a Viadana per incontrare il ragazzo conosciuto su un sito di incontri.
La vicenda inizia la sera del 19 settembre, quando Maria viene accompagnata dal suo entourage alla casa del giovane. Dopo quell’incontro, la donna sparisce misteriosamente, lasciando i familiari in preoccupazione. Solo una settimana dopo, il corpo di Maria viene ritrovato nel giardino di una villa abbandonata, dove il giovane aveva cercato di nasconderlo. L’indagine ha portato rapidamente al fermo del sospettato, che era stato l’ultimo a vedere Maria viva.
Dinamica dell’omicidio
Le indagini hanno rivelato che l’omicidio si è consumato all’interno del garage della casa del giovane, un luogo utilizzato per l’allenamento di arti marziali. Secondo la ricostruzione, dopo aver avuto un rapporto intimo, è scoppiata una lite tra i due, probabilmente legata a un compenso per l’incontro sessuale. Il giovane ha aggredito Maria con una violenza inaudita, infliggendole colpi al volto, alla testa e al corpo, fino a soffocarla.
Autopsia e prove del crimine
L’autopsia ha svelato dettagli agghiaccianti: non solo segni di soffocamento, ma anche evidenti traumi causati da percosse. Maria, secondo le evidenze, ha tentato di difendersi, ma il giovane ha continuato a picchiarla, mostrando una brutalità che ha scioccato gli inquirenti. Successivamente, il ragazzo ha spostato il corpo nel giardino adiacente, ricoprendolo con foglie e rami per cercare di nasconderlo.
La reazione della comunità e il processo
La notizia di questo omicidio ha suscitato uno shock profondo nella comunità locale. I familiari di Maria, e in particolare la sorella, avevano lanciato l’allerta dopo non aver ricevuto notizie di lei. È stata proprio la sorella a riconoscere il giovane come l’ultimo accompagnatore della donna, portando così all’arresto del sospetto. Durante il processo, la difesa ha cercato di sostenere che non vi fosse premeditazione, mentre l’accusa ha chiesto di considerare l’aggravante della violenza e premeditazione, richiedendo una pena più severa di quella infine comminata.
Le testimonianze in aula
In aula, il confronto tra le versioni dei fatti è stato acceso. Da un lato, il giovane ha tentato di giustificare le sue azioni, affermando di aver agito per curiosità su cosa si provasse a uccidere. Dall’altro, le prove raccolte hanno evidenziato un quadro ben più complesso e inquietante. Il sostituto procuratore ha sottolineato la gravità della violenza esercitata, chiedendo una condanna esemplare per il giovane.
La condanna a 15 anni e 8 mesi rappresenta una risposta giuridica a un delitto che ha segnato non solo la vita della vittima, ma anche quella della comunità. Questo tragico evento porta con sé una riflessione profonda sulle conseguenze delle violenze e delle relazioni tossiche che possono scaturire anche da incontri apparentemente innocenti.