La cronaca penitenziaria ha di recente acceso i riflettori su un episodio di violenza all’interno del carcere di Montorio, a Verona, che ha visto protagonista Cesare Dromì, 55 anni, calabrese con un passato criminale complesso. L’aggressione a Filippo Turetta, ha suscitato grande attenzione mediatica e alimentato discussioni sulle dinamiche interne agli istituti di detenzione.
Verona, aggressione in carcere per Filippo Turetta: la versione di Cesare Dromì
Cesare Dromì, 55 anni, originario della Calabria e recentemente trasferito dal carcere di Montorio a quello di Treviso, ha raccontato attraverso la sua avvocata Alessandra Bisighini l’episodio che lo ha visto protagonista dell’aggressione a Filippo Turetta. Come riportato da Il Messaggero, Dromì ha ammesso di essersi avvicinato al detenuto e di averlo colpito con un pugno in faccia, definendo il gesto un raptus di cui si vergogna profondamente:
“Il gesto l’ho compiuto in un raptus e come uomo me ne vergogno. Per quello che ho fatto ho pagato e sto pagando le conseguenze”.
Dopo gli accertamenti della polizia penitenziaria erano emerse varie ipotesi sulle motivazioni del suo comportamento, tra cui la possibilità che volesse ottenere un trasferimento dalla struttura di Montorio, ma Dromì ha categoricamente escluso questa ipotesi, sottolineando che non aveva debiti con altri detenuti e che il suo gesto gli ha invece rovinato una situazione favorevole: aveva una cella singola, accesso a attività sportive e culturali, vicinanza dei difensori e dei familiari, oltre a cure odontoiatriche private.
Verona, aggressione in carcere per Filippo Turetta: le scuse alla famiglia
Dromì ha spiegato di essere stato profondamente segnato dalla vicenda del femminicidio seguito in televisione, che lo ha portato a rievocare “l’immagine della povera ragazza uccisa“, rimasta orfana da un anno. Per evitare Turetta aveva cercato di rimanere chiuso nella sua cella, ma l’incontro è stato inevitabile.
La sua storia personale, ricostruita da Il Gazzettino, comprende precedenti per omicidio, tentato omicidio e rapina, oltre a un periodo di latitanza trascorso principalmente in Romania, con ritorni a Bovolone, dove risiedevano madre e fratello. Arrestato nel 2011 dalla Squadra mobile di Padova, Dromì aveva legami passati con le cosche Sergi e Pesce della ‘ndrangheta.
Attraverso la sua avvocata, ha ribadito il rifiuto della violenza e ha espresso il desiderio di ricomporre: “Chiedo umilmente perdono ai genitori di Filippo Turetta, che non hanno nessuna colpa”. La legale ha concluso sottolineando che sia lei sia il suo assistito condannano ogni forma di violenza.