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Alla ricerca di hygge, il segreto per la ricetta della felicità

Alla ricerca di hygge, il segreto per la ricetta della felicità

I danesi sono considerati il popolo più appagato al mondo. Forse per un senso di intimità, per il gusto di coltivare piaceri semplici, per il buon vivere. Jeppe Trolle Linnet abbraccia con uno sguardo gli interni di Bang & Jensen, il suo locale preferito a Copenhagen, cercando una qualsiasi c...

I danesi sono considerati il popolo più appagato al mondo. Forse per un senso di intimità, per il gusto di coltivare piaceri semplici, per il buon vivere.

Jeppe Trolle Linnet abbraccia con uno sguardo gli interni di Bang & Jensen, il suo locale preferito a Copenhagen, cercando una qualsiasi cosa che lo renda hygge, quella qualità intraducibile che definisce luoghi, persone e un senso di calda intimità.

“Le candele, la luce….Non è come quei locali che hanno grandi lampadari sul soffitto!”, dice. Poi l’arredamento “Hai la sensazione che…’mmmmh, sembra che arrivino da posti diversi’.” Indica le poltrone a ribalta su cui siamo seduti. “Come in un vecchio cinema. Probabilmente qualcuno conosceva qualcuno. Basta uno sguardo per capire che la gente qui è legata a qualcuno, quindi tutto il locale fa venire voglia di socializzare anche quando è vuoto.” Sfrega l’ottone lucido dove ha appoggiato i piedi. “Ovviamente tutto è piuttosto consumato, così hai l’impressione che non sia molto importante se ci metti i piedi sopra.”

Linnet ha pubblicato cinque anni fa il suo primo articolo accademico su hygge, da allora è diventato il punto di riferimento in materia per i giornalisti danesi, specialmente durante il periodo natalizio, quando hygge ha il ruolo primario.

Se questa è la prima volta che sentite parlare di hygge, che si pronuncia “hue-guh” e che di solito viene tradotto con “intimità“, adesso imparerete un sacco di cose.

Sull’argomento sono stati pubblicati cinque libri che si contenderanno i posti migliori sugli scaffali in libreria. The Little Book of Hygge, di Meik Wiking (sottotitolo “La ricetta danese per vivere bene”), che è uscito la scorsa settimana; The Book of Hygge di Louisa Thomsen Brits (sottotitolo “L’arte danese del buon vivere”), uscito il mese scorso. Prossimamente uscirà The Art of Hygge, mentre How to Hygge e Hygge: A Celebration of Simple Pleasures, Living the Danish Way, saranno entrambi pubblicati il mese prossimo.

“E’ il trend del momento”, dice ridendo Agnete Wolff, il cui marito, Poul, è il proprietario del negozio di alimentari Wolff & Konstali, considerato il posto più hygge della capitale danese per la colazione, è il primo posto in cui vado la mattina.

Agnete dice che hygge è stata l’unica cosa importante quando Poul ha aperto il suo bistro in cantina 14 anni fa. Anche se l’interesse suscitato a livello internazionale è storia recente. “Viviamo una vita così stressante, siamo tutti così impegnati,” dice, “è importante avere un momento di hygge. A Londra, ad esempio, si dimenticano di rilassarsi. Quando sono stata a Londra era tutto un bere e fare shopping!”

Per iniziare mi ha offerto un terbirke, un dolce fatto quasi esclusivamente di burro e zucchero, ricoperto di semi di papavero. Poi, lei e Poul mi hanno portato dall’accogliente locale vicino al vecchio porto a Islands Brygge, al quello più grande nei pressi di Amager.

“Hygge è quando ti fai del bene, magari non è sano, ma è buono.” dice Agnete.

“Siamo molto orgogliosi di questa parola, hygge,” aggiunge Poul. “Tutti sorridono quando sentono hygge.”

Ed è proprio vero. Durante il giorno ogni volta che pronunciavo la parola hygge tutti sorridevano. I danesi parlano di hygge come gli italiani parlano di cibo. Questo potrebbe essere il motivo per cui nel suo libro Wiking, direttore dell’Happiness Research Institute di Copehagen (Istituto di ricerca sulla felicità), l’ha proposto come “l’ingrediente trascurato nella ricetta danese per la felicità“. Egli scrive che questo elemento insieme all’uguaglianza e sicurezza sociale nati dal modello socio assistenziale, è il motivo per cui i danesi nei sondaggi, anno dopo anno, sono classificati come il popolo più appagato.

Posti come Wolff & Konstali e Bang & jensen hanno perfezionato l’arte di offrire hygge su misura per gli abitanti di Copenhagen, rendendo verosimilmente la città il posto migliore dove gli stranieri possono conoscere questo particolare tipo di semplicità rilassata, senza pretese.

Altrimenti hygge è quel che accade sempre dietro le porte chiuse, accessibile solo ai pochi stranieri fortunati che conoscono un danese paziente e accogliente.

Pensando a hygge, forse si può immaginare di stare accoccolati, bevendo una tazza di cioccolata, in una sera fredda e piovosa, ma può anche far pensare ad una pedalata estiva in una tiepida giornata di sole.

Qualsiasi cosa sia, mentre me ne sto seduto al sole di Amager, sono dolorosamente consapevole di non riuscire a provarla.

Il brunch, probabilmente quello più pubblicato su Instagram, è straordinario – pancetta, uova, porridge, frutta e un sacco di altre squisitezze sono sistemate in ciotole di ceramica su un vassoio di legno. Ma la mia testa sta già pensando alla prossima meta. Non mi sto rilassando, e sono solo.

Secondo Agnete, hygge non è una condizione mentale facile da raggiungere, ed è difficile, se non impossibile, raggiungerla stando soli. “C’è molto lavoro dietro a hygge, devi pensarci, ed accettare cos’è hygge per tutti.” dice.

Trae anche vantaggio dalla familiarità. Per Linnet Bang & Jensen non è hygge solo per l’arredamento, ma perché lui vive dietro l’angolo.

Ma anche una volta che si riesce ad ottenerlo, hygge può sfuggire facilmente. “Hygge può scomparire così”, dice Agnete schioccando le dita, “quando qualcuno dice qualcosa di sbagliato, lo senti, fa una specie di risucchio in tutto il corpo.”

Nei suoi locali, per esempio, i giovani membri dello staff hanno gusti musicali diversi dai loro datori di lavoro. Anche questa sottile tensione è una minaccia a hygge.

“E’ molto più semplice se anche loro condividono queste preferenze” concorda Linnet quando gli racconto questo fatto. “La gente dovrebbe adeguarsi al denominatore comune del gruppo in cui sono e non, ad esempio, mettere in tavola argomenti che potrebbero sottolineare le differenze di gusto”

Non è hygge parlare di questioni politiche, né, a dire la verità, discutere di questioni controverse. Hygge è legato etimologicamente alla parola “hug” (abbraccio). Un senso di accoglienza, di confini, uno spazio sicuro.

“C’è un lato oscuro su cui si tende a glissare presi dal desiderio di presentare hygge come la nostra più recente moda passeggera,” ammette Thomson Brits, la cui madre è danese e il cui libro, con le citazioni dello scrittore danese Soren Kierkegaard, presenta hygge come una filosofia del vivere con consapevolezza, della presenza nel momento. “Penso che per creare una specie di abbraccio, o un cerchio di calore umano, si deve sempre provare a stare al di fuori di questa cerchia, ci son decisamente delle ombre alla periferia di hygge. C’è un elemento di controllo sociale.”

Il contrario di hygge, uhyggelig, non significa “a disagio” come si potrebbe pensare, ma “spaventoso“.

Quando vado al King’s Garden, il parco che circonda il castello di Rosenborg a Copenhagen, per vedere i picnic nel parco, che sono un’espressione dell’hygge estivo, incontro due insegnanti danesi con un gruppo di scolari iracheni.

“Gli iracheni non hanno hygge, confessano, gli altri insegnanti iracheni non capiscono che non si cammina durante un pasto, e che il livello di rumore che fanno non è hygge.”

Linnet non è d’accordo sul fatto che gli immigranti e gli stranieri non possano provare il senso di hygge. Farsi un paio di bicchieri di vino, in un buon locale italiano, dice, è la cosa più hygge che puoi fare.

Ma questo turbinio di libri ci insegnerà a far nostra l’idea di hygge? Lui ne dubita.

“Penso che sia possibile commercializzarla e trasformarla in qualcosa che affascini, ma non so se i consumatori nel Regno Unito, negli Stati Uniti o in Italia, saranno in grado di capire che stanno per vivere qualcosa di unico” dice Linnet.

Al massimo, il tormentone di hygge potrebbe incoraggiare l’amore per le cose semplici, il rifiuto delle marche costose e del consumismo sfrenato, una rinnovata attenzione alle relazioni sociali che davvero contano qualcosa. Nella peggiore delle ipotesi, potrebbe ridursi ad un modo per vendere candele e lampade di designer danesi.

“Non credo serva fare un elenco di oggetti per trasformare la vostra casa in un luogo hygge”, dice, “Non basta uscire e pensare che con i vostri soldi vi possiate comprare hygge come un oggetto che si installa da qualche parte. Dovete dedicarci del tempo.”