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Cingolani non ha ancora capito che il problema non è Greta Thunberg ma il pianeta

greta thunberg cingolani

Il ministro della Transizione ecologica di un Paese che ha in mano 130 miliardi chiede a una diciottenne le soluzioni per il clima dimenticandosi completamente che quel compito spetterebbe a lui.

Gli inglesi la chiamano “photo opportunity”: quando un politico è fotografato facendo qualcosa che lo renderà popolare con sul pubblico l’occasione diventa ghiottissima per lucidare la propria immagine e per inviare un messaggio senza nemmeno prendersi la briga di doversi soffermare sui contenuti. I collaboratori del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani devono avere erroneamente pensato che fosse davvero un colpaccio quell’immagine del ministro mentre discute presumibilmente di cambiamento climatico con l’attivista Greta Thunberg ai margini della PreCop26 e della conferenze sul clima Youth4Climate, con 400 delegati tra i 15 e i 29 anni provenienti da 197 Paesi membri della Convenzione dell’Onu sui cambiamenti climatici.

Peccato che sia tutto sbagliato: già nella foto che circola da ieri si coglie il ministro Cingolani, accovacciato di fronte alla diciottenne Thunberg con lo stesso atteggiamento paternalista che sta tenendo in tutti questi mesi, impegnato più ad apparire all’altezza delle aspettative (e sarebbe curioso capire esattamente quali e di chi) piuttosto di spiegarci cosa aspettarci.

Già la foto è un capolavoro: il ministro discetta con Greta con fare da maestrino mentre lei lo osserva con lo sguardo di chi rimane basito per le banalità che è costretto ad ascoltare. In tutto questo aggiungeteci che il nostro ministro riesce a indossare la mascherina dimenticandosi fuori il naso e capirete come venga difficile perfino trattenere la tenerezza.

Eppure la posizione di Thunberg (e dei molti giovani che manifestano e si organizzano nei movimenti pur continuando ad essere trattati come studentelli indolenti che si inventando tutto per saltare un venerdì di scuola) è chiarissima: «Sulla crisi climatica – ha detto – dai leader mondiali sentiamo solo parole. Le emissioni continuano ad aumentare, possiamo invertire questa tendenza, ma serviranno soluzioni drastiche. E dato che non abbiamo soluzioni tecnologiche, vuol dire che dovremo cambiare noi». Thunberg ha anche precisato che l’emergenza climatica non è separabile dalla giustizia sociale e dalle disuguaglianze globali. «Non possiamo più permettere al potere di decidere cosa sia la speranza, la speranza non è un qualcosa di passivo, non è un bla bla bla, la speranza vuol dire la verità, vuol dire agire», ha detto l’attivista.

E cosa ha risposto il ministro Cingolani? In evidente ansia da prestazione (perché la politica, si sa, qui da noi sta tutta nel non deludere i possibili testimonial) ha spiegato di aver detto «le stesse cose» di Greta Thunberg ma «in modo diverso» e, rivolgendosi ai delegati, li ha invitati a «identificare nuove soluzioni visionarie» oltre che «a protestare, cosa estremamente utile», perché «questo è quello che ci aspettiamo da voi». Imperdibile poi il fuori onda catturato dall’Ansa mentre il ministro con un suo collaboratore si compiace per la sua prestazione di fronte agli attivisti (sempre a proposito della sua avvilente ansia da prestazione): «lei (Greta ndr.) è stata addirittura meno concreta. Neanche una risposta sul fatto di dire, facciamo proposte – dice il collaboratore di Cingolani al ministro che ciondola contento di essere ì d’accordo – cioè, una proposta, no?»·

Avete capito bene? Il ministro della Transizione ecologica di un Paese che ha in mano 130 miliardi dati a prestito vantaggioso, 68 miliardi a fondo perduto e un’imponente quantità di risorse tra cui il Just Transition Fund, il fondo sociale per il clima, da 72 miliardi di euro chiede a una diciottenne le soluzioni per il clima dimenticandosi completamente che quel compito spetterebbe a lui, che sarebbe il motivo per cui ricopre il ruolo di ministro e che è affare dei governi dare risposte e praticare soluzioni.

Non è Greta Thunberg ma è uno studio presentato dalla fondazione Enel e dal forum Ambrosetti, a dirci che con le attuali politiche sul clima del governo l’Italia raggiungerà gli obiettivi UE del 2030 in termini di riduzione della CO2 almeno con 29 anni di ritardo, perdendo investimenti per 424 miliardi di euro. Ed è lo stesso Pnrr presentato dal governo a evidenziare come l’obiettivo stabilito dall’Unione non sia raggiungibile per il nostro Paese: la mobilità elettrica di fatto non è finanziata e il trasporto pubblico locale dimenticato, in quanto solo il 10% di autobus e treni regionali sarà sostituito. Cingolani dovrebbe interrogarsi ad esempio sul perché piaccia così poco a Greta Thunberg e agli ambientalisti (a cui non risparmia mai stoccate degne di un petroliere arrampicato sul suo pozzo) e perché invece piaccia così tanto ai conservatori, ai cultori degli idrocarburi e alle lobby del nucleare.

«Non c’è Greta che tenga», dice Cingolani con la sicumera del maschio alfa al suo collaboratore mentre se ne va via tutto impettito. E questo non ha ancora capito che il problema non è Greta ma è il pianeta.

Sullo sfondo intanto si registra la feccia che viene a galla ogni volta che una giovane donna sbatte in faccia la verità ai potenti. Ma quello è un altro discorso, un’altra ecologia di cui toccherà prima o poi occuparsi sul serio.