> > Cosa ci ha lasciato davvero Aldo Moro, oltre al mistero della sua morte

Cosa ci ha lasciato davvero Aldo Moro, oltre al mistero della sua morte

Aldo Moro

sulla morte di Aldo Moro sappiamo quasi tutto, e il “quasi” è più importante del “tutto” ma ormai “solo” da un punto di vista etico.

Senza essere necessariamente complottardi spinti si può affermare in punto di serena morigeratezza che sulla morte di Aldo Moro sappiamo quasi tutto, e il “quasi” è più importante del “tutto” ma ormai “solo” da un punto di vista etico. Nel corso dei decenni di indagini, analisi, retro-pensiero galoppante e e sensi di colpa di un sistema complesso che per Moro fece meno del dovuto, il quadro dell’uccisione dello statista democristiano si è delineato come un dipinto impressionista. Come uno scenario cioè dove il soggetto è ben visibile ma “sfumato” nell’intenzione simbologica a cui deve rimandare.

Ed in questi giorni, in cui la morte di Moro è stata ricordata con meno vigore che nel passato tanto che l’otto maggio è passato con gli stornelli di Gianni Morandi in Senato senza neanche un attimo di commemorazione, è giusto chiedersi cosa ci abbia davvero lasciato quell’uomo saggio. Un uomo che per primo capì la necessità di agganciare la sinistra italiana a ruoli di responsabilità per evitare che cadesse nel “tranello ideologico spinto” del socialismo Urss. E che per questa sua visione modernissima pagò con la vita per cause certe e “mani morte atlantiche” più defilate. Questi sono i giorni in cui, nello scenario politico italiano, la polarizzazione fra destra e sinistra è tornata forte.

Un decennio e passa di populismo e sovranismo

Veniamo da un decennio e passa di populismo e sovranismo ed ormai siamo abituati a considerare la politica come tema social più che come mezzo per realizzare un’esistenza in cui tutti abbiano le stesse possibilità di star bene o quanto meno di lottare equanimemente per farlo. Ma Aldo Moro, che la sventura dei social non la conobbe e che visse in un mondo dove chi sapeva di più aveva il dovere morale di guidare chi sapeva di meno, è stato il totem di un insegnamento fondamentale. E di una condotta che, piaccia o meno, oggi ha portato la politica a contenere e diffondere all’occorrenza gli anticorpi dei suoi stessi eccessi, anche se tu tempi a volte incompatibili con le nostre urgenze di ritorno alla rettitudine.

La riprova? Dopo lustri di estremizzazione e delega alla cosiddetta “volontà popolare” il baricentro del pubblico cimento sta tornando gradualmente ad essere quello di un approccio più pacato alla vita pubblica. Giorgia Meloni, leader di una destra che certo non è mai stata immune da estremismi ideologici, è forse la leader più “moderata” a livello Europeo. Il Partito Democratico di Elly Schlein ha sì ripreso in mano la sua originaria connotazione “pop” e polarizzante, ma nella sostanza è ancora una formazione social democratica. Il centro sta rinascendo come esigenza di equilibrio e il concetto generale di politica sembra essere tornato a considerare la polpa dei temi piuttosto che il loro utilizzo sguaiato a fini pubblicistici.

Sia chiaro: non stiamo descrivendo un nuovo idillio italiano in cui la figura gigante di uno statista del passato ha gettato seme tardivo, consapevole e tenace, ma solo di un graduale e forse indipendente ritorno a quelle precondizioni che però quello statista ebbe il merito di mettere a regime per primo. Certo, di Aldo Moro non ci restano solo esempi fulgidi e indicazioni autorevolissime su come procedere nella nostra vita di sistema complesso. Ci restano anche ombre su cui diverse Commissioni Parlamentari di inchiesta hanno cercato di far luce.

Gli atti desecretati su uno dei misteri italiani

Ed atti che, a partire dal governo Renzi, sono stati via via desecretati, anche se parzialmente. Atti che riportano cose come questa: “Rispondendo, infine, ad ulteriori domande, Adriana Faranda ha detto che il 16 marzo 1978 si trovava in via Chiabrera ad ascoltare le trasmissioni radio della Polizia e dei Carabinieri e aveva il compito di ‘rimettere in piedi’ la colonna romana se l’azione di via Fani fosse finita male e fossero rimasti uccisi i brigatisti”.

E ancora: “Ha affermato che non si era deciso di collocare l’auto col corpo di Moro in punto specifico di via Caetani: si era scelto di lasciarla in un luogo centrale che fosse simbolicamente significativo poiché vicino sia alla sede della DC sia a quella del PCI, senza preordinare esattamente neanche la strada; l’8 maggio venne trovato un posto libero in via Caetani e fu lasciata lì l’auto destinata a occupare il luogo fino al mattino dopo, quando venne sostituita dalla Renault col corpo di Moro”.

Cosa ci ha lasciato davvero Aldo Moro

Questo è il testo integrale della Commissione Parlamentare di Inchiesta sul rapimento e la morte di Aldo Moro, istituita con legge 30 maggio 2014, N° 82, XVII Legislatura, relatore e presidente Giuseppe Fioroni, consegnata alle Presidenze il 7 dicembre 2017, pubblica e consultabile. E proprio questo brano ci dice che i brigatisti ed i loro sodali non sbagliarono nel collocare il corpo di Moro dove poi lo lasciarono.

Loro, assassini dentro per morbilità ideologica spinta, non potevano saperlo, che non solo i resti di quell’uomo, ma anche se sue idee avrebbero messo dimora nel punto esatto che sta fra due modi di concepire la politica italiana. Ed oggi ricordarsi di dove sta quella “pianta” e continuare ad innaffiarla è il solo modo per onorare la memoria di Aldo Moro.

Quella ed il nostro futuro, che ha bisogno più di saggi che di capipopolo.