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Diritto all'aborto, qual è la situazione in Europa? I dati Stato per Stato

Aborto

Il diritto all’aborto in pericolo, ma non solo negli Stati Uniti. Ecco la situazione in Europa, dove l'Italia si trova al 16esimo posto.

Dopo la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti è chiaro che il diritto all’aborto è seriamente in pericolo. L’Atlante delle politiche europee sull’aborto svela la situazione in Europa. L’Italia è al 16esimo posto.

Diritto all’aborto, qual è la situazione in Europa?

I media si sono concentrati sulla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti, ma il diritto all’aborto è in pericolo anche negli altri Paesi. L’Atlante delle politiche europee sull’aborto, elaborato dall’European Parliamentary Forum (EPF) nel 2021, svela la situazione in Europa, che “non è così progressista come potrebbe sembrare“. L’EPF ha stilato una classifica assegnando un punteggio a 53 paesi. Una classifica che mostra che sono 21 i Paesi che trattano l’aborto come qualsiasi altro servizio medico, mentre in 31 l’aborto non è incluso nella copertura del sistema sanitario nazionale e in 16 viene regolato dal codice penale. In 14 Paesi rimane un reato. 

Diritto all’aborto: i Paesi peggiori

Ad occupare gli ultimi gradini della classifica sono Malta, Liechtenstein, Monaco, Polonia, San Marino, Ungheria, Slovacchia e Turchia. Il Paese peggiore è Malta, che ha le leggi anti-aborto più severe del mondo. È l’unico Paese dell’UE che vieta completamente l’aborto, senza eccezioni. A Malta l’aborto è vietato in ogni sua forma, anche nei casi di stupro, incesto, anomalie del feto o rischi per la salute della donna. Il medico che aiuta una donna ad interrompere la gravidanza rischia 4 anni di carcere e il ritiro della licenza, mentre la donna che abortisce rischia 3 anni di carcere.  

Anche la Polonia è uno Stato dell’Unione europea con la legislazione più restrittiva. L’interruzione di gravidanza è consentita solo se la donna rischia la vita o se è rimasta incinta dopo uno stupro. Situazione simile in Ungheria, dove l’aborto è possibile fino alla dodicesima settimana, ma prevede un lungo iter con lo scopo di disincentivarlo, come denunciato dalle associazioni. La Repubblica di San Marino è in fondo alla classifica, anche se lo scorso settembre è passato il referendum per l’abolizione del reato. Tra gli stati peggiori anche la Turchia, che consente l’aborto fino alla decima settimana di gestazione solo in alcuni casi: minaccia alla salute psico-fisica della donna, menomazione psico-fisica del feto, stupro, incesto o giustificati motivi economici-sociali. Se la donna è sposata serve il consenso del marito. 

Diritto all’aborto: i Paesi migliori

I primi quattro posti della classifica sono occupati da Svezia, Islanda, Regno Unito e Olanda. Tra i Paesi migliori ci sono anche la Francia, al quinto posto, la Spagna, al 14esimo, e la Germania, a metà classifica. In Svezia la legislazione non contempla la scelta di rifiutarsi di assistere una donna che sceglie di interrompere la gravidanza. Stessa cosa per la Finlandia, dove l’obiezione di coscienza non è riconosciuta. In Islanda la legge consente l’aborto anche dopo la sedici settimane in caso di anomalie del feto. Nel Regno Unito è consentito fino alla 24esima settimana.

Diritto all’aborto: la situazione in Italia

L’Italia occupa il 16esimo posto, dietro la Macedonia del Nord, la Grecia e la Spagna. Il punteggio legato allo stato giuridico dell’aborto è di 12 punti su un massimo di 15, l’accesso all’aborto è 37 su 45 punti, sull’assistenza clinica e i servizi è di 14 su 30, mentre sull’informazione ha ottenuto 4 punti su 10. L’Italia è tra i 19 Paesi più progressisti sul tema, ma dove le donne devono rispettare requisiti non necessari prima di accedere all’aborto, tra i 18 paesi che forniscono informazioni chiare, e tra i 26 paesi in cui viene consentito agli operatori sanitari di negare l’assistenza in base alle proprie confinzioni. L’obiezione di coscienza, dichiarata dal 67% dei ginecologi, è un grande problema in Italia, perché ci sono tante strutture in cui le donne non possono procedere con l’interruzione di gravidanza per mancanza di personale.