Le scene di centinaia di palestinesi uccisi mentre erano in coda, in attesa di ricevere i pacchi di cibo dalla Gaza Humanitarian Foundation (organizzazione sostenuta da Israele e Usa) sono la dimostrazione più emblematica di violazione dei diritti umani in Palestina.
Accanto a questa violazione, però, ce n’è un’altra: forse fa meno notizia ma non è per questo motivo meno importante e significativa. Israele non rispetta il diritto di informare e di essere informati: quanto sta avvenendo a Gaza è censurato. Lo dimostra il fatto che l’accesso ai media internazionali, ad oggi, è vietato da parte di Israele e che oltre 4000 richieste dalla stampa straniera sono state rifiutate.
238 fra giornalisti, videomaker e fotografi sono stati uccisi dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Lo hanno denunciato con forza un gruppo di professionisti dell’informazione che, domenica scorsa a Roma e ieri a Napoli, hanno dato vita a due differenti flash mob per esprimere solidarietà a chi ha perso la vita “per aprire gli occhi al mondo”.
Piazza San Giovanni, nella Capitale, e piazza Dante, a Napoli, unite da un intento comune: la libertà di stampa è sotto assedio.
A Roma, in concomitanza con il Corpus domini, un gruppo di “Operatori e operatrici dell’informazione per Gaza” ha deciso di alzare la voce, in piazza con bocche incerottate e mirini sulla scritta Press.
“Quello che è in corso davanti ai nostri occhi è un genocidio”, si legge nel documento firmato dai promotori dell’iniziativa a Roma, che rappresenta una parte dei 260 giornalisti che, qualche settimana fa, aveva invitato le redazioni dei media italiani a prendere posizione su quanto sta avvenendo a Gaza, con la proposta di destinare una giornata di salario ai colleghi e alle colleghe palestinesi.
“Chiediamo che Israele rispetto il diritto di cronaca e faccia entrare subito i media internazionali a Gaza e nei Territori occupati; negarlo significa violare arbitrariamente il diritto di essere informati e il rispetto dei principi democratici fondamentali”, dicono.
E’ grave che a violare questo diritto sia uno Stato (Israele) che si definisce l’unica democrazia in Medio Oriente. Eppure, anche l’Europa lo ha scritto nero su bianco, di recente, nel rapporto del servizio di azione esterna dell’Ue presentato al Coreper.
“Ci sono indicazioni secondo cui Israele ha violato i propri obblighi derivanti dall’articolo 2 dell’Accordo di associazione con l’Ue”, la clausola che lega le relazioni bilaterali al rispetto dei diritti umani e dei principi democratici”.
Fra questi diritti c’è quello di cronaca. “Numerosi operatori dei media sono stati uccisi, possibile deliberatamente”, recita il report Ue.
Le storie dei 238 giornalisti uccisi per mano di Israele sono storie di uomini e donne, storie di coraggio e di impegno civile. Come quella di Hassan Aslih, direttore dell’agenzia Alam24, collaboratore di CNN e AP ma, soprattutto, per Israele “un membro di Hamas”. E’ stato prima ferito durante un bombardamento alle tende dei giornalisti davanti all’ospedale Nasser, a Khan Younis, e poi colpito a morte da un drone lanciato contro il reparto ustionati dell’Ospedale Nasser dove era ricoverato.
Storie come quella di Shireen Abu Akleh, giornalista di Al Jazeera, palestinese con cittadinanza anche americana, raccontata da Anna Selini nel suo podcast “La guerra dei giornalisti”: Shireen è stata uccisa l’11 maggio 2022 nel campo profughi di Jenin da un cecchino israeliano. “Per molti lei era la voce della Palestina. Hanno superato la linea rossa”, racconta. Era cristiana, pacifica e raccontava con professionalità e umanità le ingiustizie subite dal popolo palestinese. Al suo funerale, a Gerusalemme, hanno partecipato migliaia di persone.
Quel giorno, era il 13 maggio 2022, i militari israeliani aggredirono con calci e manganellate le persone con bandiere palestinesi, che portavano il feretro.
La voce sua e quelle di altri 237 colleghi sono state silenziate.
Dall’altra parte, la violenza deliberata contro chi si è assunto la responsabilità di raccontare. E’ questo il senso del mirino rappresentato sulla scritta “Press”, impressa nelle magliette del flash mob di Roma, domenica scorsa.
La stampa libera è nel mirino di Israele.
Ecco perché assumono un grande significato queste iniziative che invitano la stampa italiana ad unirsi alla mobilitazione. Per combattere quella che ancora troppi pochi definiscono un’altra guerra. Contro l’informazione.