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I politici su TikTok dimostrano, ancora una volta, di non aver capito nulla dei giovani

politici italiani su tiktok

Così si fa torto ai giovani e si cade nel luogocomunismo comodo di considerare loro imbecilli e noi coraggiosi e pazienti pionieri di nuove praterie. E non è affatto così.

Noi italiani siamo fatti così: richiamammo Mattarella, rivorremmo Draghi e ricandidiamo Mastella. Sempre coi giovani in bocca, e con i giovani che oggi la politica va a tampinare scovandoli perfino nei loro santuari social. Perfino su TikTok dove un Silvio Berlusconi in versione “ue raga” ha fatto capolino e si è imbrodato dei 3 milioni di view ottenuti. Il Cav lo ha fatto senza capire che quella non era empatia massiva dei giovani ma curiosità scientifica dei genitori.

Perché in certe cose anche le prof di “corsivo” come Elisa Esposito hanno ragione: ad un giovane su TikTok gli devi dire “Amio” o fargli vedere balletti fighi, ricette di cucina creativa e video smart, trucidi o divertenti, non puoi spiegargli la stagflazione, non senza aver mai gettato prima le basi scolastiche per incuriosirli sul tema.

Ma il motivo parallelo non è solo legato alla differenza di potenziale fra la veste leggera dei social e dei loro fruitori e la seriosa grevità di messaggi e messaggeri elettorali, così si fa torto ai giovani e si cade nel luogocomunismo comodo di considerare loro imbecilli e noi coraggiosi e pazienti pionieri di nuove praterie. E non è affatto così.

No, sui social emerge prepotente tutta la boriosa e voluta ignoranza che la politica ha sempre dimostrato, lungo decine di generazioni, per le fasce giovani della società, per i loro bisogni e per il loro linguaggio. In Italia politica e società vuol dire tabelle Inps, vuol dire figure sempiterne e rugose che non schiodano mai dalla poltrona, vuol dire mantra “dell’esperienza” usato per mascherare la fame ostinata di un potere che ai giovani nessuno ha mai voluto trasmettere. In Italia la politica ha in target se stessa: i decisori con le foto della 600 del nonno su cui hanno imparato a guidare.

Da noi politica vuol dire abiti vecchi ma costosi, ignoranza abissale dei temi mainstream ed ossa che crocchiano mentre si mima quel nome in due tempi secchi con testa a metronomo – “Tik-crac-Tok” – con la stessa padronanza di un brontosauro in zona spritz. La verità vera è che l’Italia giolittiana, quella dei notabili, dei parrucconi, dei “professionisti” avviati e bravi perché dotati di catetere non è mai morta.

Quell’Italia geriatrica e supponente attraversa come una vena fetida tutto l’arco parlamentare e tutta la storia di un paese che è solo e soltanto per vecchi e che non può scoprire i giovani per sopravvenuta utilità, li doveva guardare per l’evidente bellezza di ciò che sono e che sanno. Un Paese che oggi si ricorda dei giovani senza averli mai messi sul piano della progettualità e del dialogo e che oggi li vuole arruolare, in fregola anche per il fatto che oggi essi votano per la prima volta al Senato già dai 18. Senato come etimo insegna, Senato da senex, “vecchio”.

Vecchio come la voglia che non abbandonerà mai i nostri politici di truccarsi per sopravvivere all’evidenza della loro morte pubblica. E andare a cogliere frutti senza aver mai visto un albero.