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La ragazza che salvò il soldato dai nazisti, 74 anni dopo: "Non ho mai smesso di cercarti"

Nazisti

A Sulmona si intrecciarono 74 anni fa le vite di una contadina abruzzese e di un soldato inglese, oggi grazie a Skype Rosina Spinosa in Abruzzo e Len Harley a Billericay, nell'Essex, si sono rivisti.

C’è proprio poco da salvare quando, nella seconda guerra mondiale, l’Italia era sotto il dominio dei Nazisti. Un periodo buio del nostro Paese, un periodo nero per l’umanità. Capita, però, che a volte si venga a conosceza di alcune storie che ti riconciliano con le brutture quotidiane.

Quella di oggi è la storia di Rosina, la ragazza che salvò un soldato dai nazisti, e che 74 anni dopo ha avuto un suo inequivocabile messaggio: “Non ho mai smesso di cercarti.”.

Successe a Sulmona, 74 anni fa, quando si intrecciarono le vite di una contadina abruzzese e di un soldato inglese, che lei salvò. Oggi, grazie a Skype, Rosina Spinosa in Abruzzo e Len Harley a Billericay, nell’Essex, si sono rivisti.

A raccontare questa storia è il quotidiano La Repubblica, Rosina racconta quel che accadde nel settembre 1943, quando rischiò la vita per aiutare Len a nascondersi ai nazisti. “Non l’abbiamo fatto soltanto noi – dice, umile, la donna – tanta gente del paese ha aiutato quei poveretti. C’era appena stato l’armistizio e dal campo erano scappati in molti verso le montagne.”.

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L’intervista rilasciata a Repubblica

Sapeva quel che rischiava?
“Sì, ma siamo gente di buon cuore. Avevo 21 anni e due figli piccoli, mio marito era in guerra. In cuor mio speravo che se fosse accaduto a lui qualcuno avrebbe fatto altrettanto.”.

Len ha raccontato al Times che fu lei a intercedere con suo padre e i suoi fratelli perché lo accogliessero.
“Ricordo diversamente. Mio padre e mio zio ne accolsero almeno sette. Purtroppo i tedeschi arrivarono alla casa sul monte dove li tenevamo nascosti, quattro cercarono di scappare e li presero subito. Len e un altro, invece, riuscimmo a farli salire in soffitta e poi spostammo un armadio davanti alla porta perché non si vedesse il nascondiglio. Quando i tedeschi arrivarono nella camera mi trovarono a letto con i bambini. Ci scaraventarono per terra, tremavo come una foglia, ma non li trovarono. Però i tedeschi si portarono via i miei due fratelli, per fortuna li mandarono ai lavori forzati e non li uccisero.”.

Avete continuato a nascondere Len e il suo compagno in soffitta?
“Sì, non era la casa in cui vivevamo, era vicino a dove tenevamo le bestie. Però era pericoloso lo stesso portargli da mangiare, facevamo a turno, ma mi ero accorta che Len era più contento quando ci andavo io.”.

Riuscivate a comunicare? Le aveva detto qualcosa?
“No, ci sorridevamo soltanto, ero bella, proprio come adesso (e ride n.d.r. ). Solo che lui pensava fossi molto più grande, che avessi 30 anni. Anche per questo adesso aveva quasi perso la speranza di trovarmi.”.

Quando decisero di incamminarsi verso le truppe alleate, come vi salutaste?
“Continuava a dire “grazie”, poi andarono via, verso le montagne del Morrone. Io ci pensavo sempre, mi chiedevo se ce l’avevano fatta lassù sulla Maiella, se li avevano ripresi.”.

Ha mai provato a cercarlo?
“Dopo la guerra è stata dura. Siamo stati in Italia fino al ’59, poi siamo andati in America, in Pennsylvania. Mi era morto il primogenito, ho avuto altre due figlie, mentre mio marito lavorava dovevo badare a loro. La vita è andata avanti. Però alle mie figlie e alle mie nipoti ne ho parlato sempre. La guerra è brutta, abbiamo sofferto tanto, ci avevano bombardato la casa, non bisogna dimenticarsi quel che è successo.”.

Len invece non ha mai smesso di cercarla.
“Nel 2009 è venuto qui a Sulmona, ma mi ha cercata sulla montagna, dove li nascondevamo. Eravamo tornati dagli Stati uniti nel ’95, la gente si era dimenticata di noi e non gli sapeva dare indicazioni. Aveva quasi perso le speranze, poi una tv inglese lo ha contattato per raccontare le storie dei soldati inglesi scappati dall’Italia e lui ha subito detto di me. Le responsabili del programma sono venute qui e sono state fortunate, perché hanno incontrato per caso un mio nipote che fa la guardia forestale.”.

Forse Skype non è stato il modo migliore per rivedersi.
“Lo uso sempre per parlare con le mie nipoti in America, ci sono abituata. Però ho pensato che vorrei vederlo di persona. Len ha continuato a ringraziarmi anche adesso, a ripetere che avevo rischiato la vita per lui.”.

E lei?
“Gli ho detto che non avrei potuto fare altrimenti.”.

Vi siete raccontati cosa è successo in questi 74 anni?
“Eh, io non parlo molto l’inglese, un po’ l’avevo imparato quando stavo là, ma adesso me lo sono scordato. Traducevano mia nipote Sabrina e sua figlia Chris. In casa mia sapevano tutto anche perché qui in paese ci sono state tante altre storie come la nostra, la guerra ha lasciato tanti ricordi. Invece lui non aveva raccontato niente alla figlia, lo ha saputo quando Len ha ricostruito la sua fuga dal campo di prigionia per la trasmissione. Però mi ha detto che mi ha pensato sempre, che ha fatto di tutto per rivedermi, ma visto che pensava avessi ormai più di 100 anni non ci sperava più.”.

Come vi siete salutati?
Ci siamo dati appuntamento per i prossimi giorni, questa volta ci chiameremo con Facetime, in attesa di vederci di persona. Però devo aspettare che ci sia mia nipote o qualcuno che può aiutarmi a tradurre.”.