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Bipolarismo e politica, Italian style

Draghi Senato armi

Il vero pericolo del bipolarismo che ha portato alla crisi non è solo l’incoerenza dei comportamenti e degli impegni presi con gli elettori, ma il divario sempre più profondo tra i bisogni dei cittadini italiani e i comportamenti delle forze parlamentari.

Ormai da molti anni, si discute in Italia di riforme elettorali e soprattutto della necessità di ridurre il numero dei partiti: obiettivo di ogni riforma, sostengono anche in questa fase di grave crisi politica tutti i grandi schieramenti parlamentari, deve essere quello di favorire la nascita di un “bipolarismo” che consenta di rendere finalmente governabile il Paese almeno per la durata di una legislatura. Come dargli torto?

Il naufragio (insensato) del governo di Mario Draghi, affondato dal “fuoco amico” (ma non troppo) del Movimento 5 Stelle, sembra confermare perfettamente l’analisi: il bipolarismo appare come l’unica risposta possibile all’instabilità politica che paralizza l’efficacia e la coerenza dell’azione di governo. Solo per chiarezza, si definisce bipolare un sistema politico che vede la contrapposizione di due blocchi distinti; a livello nazionale essi sono rappresentati, di solito, da due coalizioni o raggruppamenti di partiti e/o movimenti, che si contendono la conquista del potere. Proprio quello che manca al Paese.

La lezione della crisi e delle dimissioni del governo Draghi potrebbe essere proprio questa: per gestire l’Italia, ma soprattutto per restituire agli italiani un minimo di fiducia sul processo elettorale, serve una classe politica in grado di competere con coerenza, onestà e trasparenza. Lo spettacolo offerto negli ultimi mesi da maggioranza e opposizione, al contrario, fa persino sorgere altri dubbi: il bipolarismo, in Parlamento, è già arrivato sotto forma di malattia: il caso-Draghi, non sembra forse un vero e proprio disturbo bipolare? Psichiatri e psicologi lo chiamavano in passato “sindrome maniaco depressiva” o depressione bipolare: è un disturbo dell’umore caratterizzato da anomali cambiamenti dell’umore, dell’energia e del livello di attività svolta nell’arco della giornata. Chi presenta questo disturbo manifesta, in modo alternato, episodi di eccitamento (elevazione del tono dell’umore) seguiti da episodi depressivi. Con tutto il dovuto rispetto (per chi soffre davvero), sembra l’idenkit dei partiti italiani di governo e opposizione di questa disgraziata legislatura. Non solo.

Il vero pericolo del bipolarismo che ha portato alla crisi non è solo l’incoerenza dei comportamenti e degli impegni presi con gli elettori, ma il divario sempre più profondo tra i bisogni dei cittadini italiani e i comportamenti delle forze parlamentari: mentre la società civile si è apertamente schierata sulla fiducia a Mario Draghi (anche a prescindere dalla qualità dei suoi ministri), il Parlamento ha preso di fatto la direzione opposta: più bipolare di così, c’è solo la pila elettrica.

Il problema del voto a settembre, insomma, è più grande di quanto temuto dagli italiani: votare senza prima “curare”, non salva l’Italia dal bipolarismo tra chi vota e chi è eletto. Senza una riforma elettorale che riporti il “bipolarismo” nella sua corretta definizione, il Paese resterà schiavo dei ricatti e dei tradimenti di chi vuole governare, senza avere i numeri e l’affidabilita’ che servono al Paese. Che succederà, dunque?

Adesso è arrivata la crisi di governo, e di fronte al test delle elezioni anticipate si assiste a un gran fermento di alleanze e coalizioni. Il Centro destra si presenta già unito, ma la credibilità di una futura compagine di governo guidata dai Fratelli d’Italia, è come quella dei Cugini di Campagna che rimpiazzano la filarmonica di Berlino.

Per quanto riguarda Pd e M5s, il quadro non è migliore. Uniti fanno ridere, ma divisi non possono nemmeno sperare di competere con il Centro destra. L’unica soluzione, per logica, sarebbe quella di una vera scissione dei Cinque Stelle “illuminati” dalla vechia tribù guidata da Conte.

Il M5s non è più, sul piano elettorale, quello del 2013 e del 2018. La fase del Movimento come partito-pigliatutti è finita per sempre. Ma a livello di elettorati, la distanza tra Pd e M5s sembra diminuita. Resta il lascito di una ostilità maturata nel tempo, forse più antropologica che politica. E resta un problema di credibilità. L’impressione è che adesso sia troppo tardi, ma il bisogno di creare un secondo polo del sistema che possa essere una credibile alternativa di governo non sparirà con il voto a settembre: semmai, sembra fatto apposta perché tutto resti come prima. Ma se continueremo a restare dentro un assetto tripolare che è persino asimmetrico, con un polo dominante e due attori irrilevanti, non ci resta che attendere la prossima crisi di governo e altre elezioni anticipate: sempre che non siano i mercati finanziari, o l’Europa, a decidere per gli italiani. Staremo a vedere.

Comunque finirà, la speranza è che prima o poi si apra una fase nuova, un cantiere delle idee che porti a un riassetto bipolare del nostro sistema. Per chi crede alla virtù della democrazia maggioritaria, sarebbe una buona notizia. Si fa fatica però a pensare che un processo del genere possa essere portato a termine in tempi brevi.