Alle elezioni del prossimo 25 settembre, piaccia o meno, ci sarà un grande assente, è Pier Luigi Bersani che al Corriere della Sera spiega: “Do una mano ma non mi ricandido”. Insomma, lo smacchiatore di giaguari lascia il posto a quello che invoca gli occhi della tigre e di felino in felino la coalizione guidata da Enrico Letta perde uomini totem importanti. Eppure quella “mucca nel corridoio”, cioè la destra sovranista che per il fondatore di Articolo Uno è un “problema gigantesco” nel corridoio c’è ancora, anzi, rischia di prendersi il salone di rappresentanza della casa.
Bersani: “Do una mano ma non mi ricandido”
Perché Bersani non si ricandiderà? “Perché? Me lo chiedono in tantissimi. È una cosa normale, come il tempo che passa. Ho fatto 20 anni il parlamentare da ministro, da segretario e da deputato semplice. Penso che basti”. E ancora: “Non abbandono la politica, né la compagnia, darò una mano in altre forme. A settant’anni consiglio a tutti di avere disponibilità e non aspirazioni. Dopo queste elezioni ci sarà un reset, si aprirà una fase nuova che io mi auguro di costruzione”.
Draghi non era un’agenda, ma un’occasione
Poi Bersani si è concesso un’uscita da vecchio saggio: “Noi abbiamo alle spalle l’esperienza del governo Draghi che non era un’agenda, era una occasione di organizzare i campi della politica in condizioni di sicurezza per il Paese”. E Berlusconi, che è più vecchi di lui ma sarà in lizza? “Io a 11 facevo lo sciopero dei chierichetti, a 15 spalavo a Firenze, a 28 ero assessore regionale. Ho l’orologio in anticipo. Sul giaguaro faccio notare che lui dal 2013 non poté più fare il capo del governo”.