Il piano del ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani ha un grande pregio ed un immenso difetto. Partiamo dal pregio: anche se a lungo termine, è ben strutturato e si innesta quasi alla perfezione sulle nuove politiche energetiche del paese. Sono politiche che l’Italia, come da manuale, si sta dando quando le servono perché non se le è volute dare quando era lecito pensare che un giorno sarebbero servite.
Tutto questo sposta l’asse dei risultati talmente in avanti che probabilmente i risultati arriveranno con mezza Italia economicamente già sepolta e decomposta, ma almeno abbiamo un piano e l’illusione che seguirlo eviti sfaceli. Ora il difetto, e qui non serve un preambolone: il piano di Roberto Cingolani contro Amsterdam e Mosca ha una “conditio sine qua non” che non è setaccio, è diga di Hoover: per andare a meta su 3,2 miliardi di metri cubi di gas da mettere in salvadanaio nazionale grazie al legiferato esso abbisogna di un tetto statistico imprescindibile.
Cioè che il 79% delle famiglie italiane segua alla lettera o in maniera massiva le norme di risparmio energetico, e qui fieri propositi patriottici scansatevi tutti che entriamo in una bolla di censo che con la coralità degli intenti sociali ci fa a cazzotti.
Se è vero infatti che l’Italia è Paese di fortissime diseguaglianze di reddito in cui, come in tutti i paesi poco civili, la ricchezza è clamorosamente elitaria e il benessere è come i tartufi a febbraio e dove quindi i ricchi fanno statistica di élite a sé, è anche vero che in Italia grazie a politica sciancata e Covid il ceto medio e medio alto hanno si subito scossoni, ma (per fortuna) non debacles.
Al di là delle distinzioni rigide, siamo sicuri che tutti ma proprio tutti gli italiani di quel 79% seguiranno le nome volute da Cingolani? Mettiamola meglio ed enunciamo le skill sparagnine messe a spunta: abbassare i caloriferi, fare docce smart, speed e random, guardare la lavastoviglie (chi l’avesse, ovvio) da lontano come si guardava la bella e impossibile del liceo, accedere il fornello a fiamma minimal e cassare l’idea dei sontuosi ragù da stracottura secolare.
Ecco, queste sono tutte cose che gli italiani poveri già facevano (a parte il ragù), fanno e faranno a prescindere da quel che il piano Cingolani detta. Le fanno perché in Italia la povertà non segue ormai da tempo i flussi del potere decisorio ma vive una sua vita da cui la politica è scollegata da decenni. Quegli italiani poveri risparmiano non per senso civico o per cartesiana comprensione di un’emergenza che era già loro compagna, lo fanno perché altrimenti poi arriva il postino con una bolletta da infarto (e, borghesi miei, udite udite: per i poveri infarto è anche 250 euro).
Pretendere quindi che vadano a fare massa statistica poveracci che alla statistica pre-esistevano è un po’ come volere che un soldato da trincea stia nell’elenco dei posti a mensa per i furieri. E le famiglie a reddito medio-alto? Quelle per parte maggioritaria non seguiranno nessuna di queste regole, non lo faranno perché le norme di Cingolani vivono di enunciazione apodittica e non possono avvalersi di controlli. Poi, anzi soprattutto, perché il sistema di vita di chi è abituato a tre docce e quattro televisori di cui uno solo per il gaming del teen di casa non lo scalza una legge e non lo scalzano moti di orgoglio patriottardo.
Per assumere accorgimenti da poveri serve solo la povertà ed avere oculatezza non è dono che uno si può dare come il coraggio di Don Abbondio: se prendi 1800 euro al mese e tua moglie/marito lavora tu non pensi a dove andrà a finire il tuo Paese, ma a dove andrai a finire tu se Luigino non lo fai lavare dopo il calcetto e incontri i suoi pedalini in corridoio. E siccome per affrontare i guai il presupposto cardine è il cinismo, è bene sapere che l’Italia non è un paese di afflati corali, è paese di esigenze di categoria.
E chi dimenticasse questo o non ve lo dicesse, semplicemente mente.