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Il capolavoro di Meloni per disinnescare Cav e Capitano: vinco ma non stravinco

Giorgia Meloni

la premier paga già pegno all'usura ma non ancora dazio allo strappo con l'elettorato fiduciario e non irregimentato ideologicamente.

La luna di miele fra Giorgia Meloni e l’elettorato che le ha consegnato l’Italia chiavi in mano a settembre scorso dura ancora e dura per due motivi: è troppo presto in fisiologia per parlare di disillusione e il carisma del personaggio sa sopravvivere più della media dei predecessori agli inevitabili svarioni di un periodo disseminato di trappole come mai prima.

Insomma, la premier paga già pegno all’usura ma non ancora dazio allo strappo con l’elettorato fiduciario e non irregimentato ideologicamente. Ma quello che forse la leader di governo e del partito azionista di maggioranza dello stesso doveva temere di più era un particolare tipo di usura, quella interna e indotta dai due partiti con cui essa fa coalizione.

Meloni, vinco ma non stravinco

Uno di essi, in particolare, è partito-azienda con un leader in cui fanno massa critica skill che per una come Giorgia Meloni sono incubo vero: è vecchio e di scuola “cumenda”, è sessista e non concepisce la sola idea che a dettargli la linea sia una “young gun” sovranista redenta e pure in gonnella.

Sono tutte cose che Silvio Berlusconi semplicemente non concepisce, perciò ha iniziato ad erodere la Meloni ai fianchi con un velato filoputinismo di facciata corroborato dalla sua empirica amicizia con l’autarca di Mosca.

Lì dove Matteo Salvini andava aggiogato al suo ego con un ministero che gli facesse indossare il casco da cantierista in purezza il Cav era molto meno inertizzabile perché imprevedibile, spiazzante e battitore libero senescente perché fuori truppa a Palazzo Chigi.

La mina del Cav e le Regionali

Per le Regionali in Lazio e Lombardia perciò serviva un capolavoro politico che garantisse una vittoria con le impronte digitali di Fdi ma in cui fossero ravvisabili al contempo forza e ruolo dei due partiti alleati. Quella sfumatura determinante per bloccare ogni turbolenza Meloni l’ha perseguita ed ottenuta, non ha aspettato che le calasse dal cielo per buona sorte, ed ha fatto centro.

Bisogna essere gonzi per non capire che l’ultima esternazione del Cav sulla soglia dell’urna e contro Zelensky aveva esattamente quel valore: quello di un ennesimo “penultimatum” con il quale ribadire alla premier che i governi compositi vivono fin quando chi li tiene a briglia si rammenta della loro collegialità e non scorda neanche per un attimo che ci sono più mani a tenerlo a galla nella sua aspettativa di vita. Mani capaci di essere “piuma e fero”, di tenere in vita o di dare la morte.

Il caso Zelensky, l’ennesimo

Berlusconi sarà anche vecchio e dispettoso come una scimmia ma non è un cretino, e nelle more di un risultato elettorale che sperava fosse non proprio favorevolissimo a Fdi ha sganciato il suo personale avvertimento.

Ma Meloni lo aveva previsto anche sulla scorta di una certa serialità degli ukase arcoriani e si era già attrezzata. Come è quando? Con i candidati governatori di Pisana e Pirellone ed in tempo utile per far decantare il significato della loro scelta.

Francesco Rocca è un bravissimo cristiano ed un leader nel suo settore, ma è un laico, cioè è un tecnico d’area su cui non pesano gli orpelli di una collocazione ideologica “talebana” in seno al partito della premier, perciò la sua è stata la vittoria di una scuola di pensiero composita piuttosto che del puntare i gomiti del partito cannibale in seno al destra-centro. Meloni aveva voluto Rocca fortissimamente preferendolo al colonnello capitolino Rampelli.

Due governatori “soft”

Dal canto suo Attilio Fontana è il leghista che per antonomasia portava le stimmate della disastrosa fase iniziale della lotta alla pandemia in Lombardia, eppure Meloni ne ha intuito ed utilizzato le potenzialità di uomo-totem di un Carroccio di nuovo in corsia fiduciaria con il suo elettorato e sedato nel suo malumore.

Lasciando campo libero a questi due ed alle pulsioni strategiche che rappresentavano la Meloni ha vinto senza stravincere incasellando percentuali in sezione aurea, ha ribadito cioè che Fratelli d’Italia primeggia e domina ma non deborda e lascia molto di più che qualche briciola.

E così facendo ha messo i forzisti ed in parte i leghisti nella difficile posizione di dover dar conto ai capi delle loro sfuriate identitarie ma con la leggerezza di chi è parte di un sistema che funziona in punto di collegialità.

Altri sei mesi di credito

Ed almeno per altri sei mesi, in attesa che la luna di miele con gli italiani finisca per una ineluttabilita’ da cui neanche lei è immune, la leader di un partito chiamata ad essere leader di un governo si è messa in tasca chi dall’interno le contestava la leadership.

E sia pur a tempo, ha fatto un capolavoro.