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La foresta dei sogni: poesia e spiritualità nell'ultimo film di Gus Van Sant

cop La Foresta dei Sogni

Fa sorridere che all'ultimo Festival di Cannes questo struggente e bellissimo film di Gus Van Sant abbia collezionato solo fischi mentre una vera e propria ovazione abbia accolto Carol di Todd Haines. Forse che di questi tempi va di moda l'amore omosessuale mentre non è di moda la spiritualità? ...

Fa sorridere che all’ultimo Festival di Cannes questo struggente e bellissimo film di Gus Van Sant abbia collezionato solo fischi mentre una vera e propria ovazione abbia accolto Carol di Todd Haines.
Forse che di questi tempi va di moda l’amore omosessuale mentre non è di moda la spiritualità?
Davvero un peccato che la critica cinematografica tenda a soffermarsi su quello che è il rigore formale di una pellicola senza andare oltre, così come a un vero artista si chiede di fare.
Il film è profondo e delicato, gli attori eccezionali. E’ la storia di Arthur Brennan (Matthew McConaughey), professore e scienziato di alto livello, che si spinge fino in Giappone per raggiungere la “foresta dei suicidi”, situata ai piedi del Monte Fujii. All’inizio non sappiamo nulla di lui. Poche immagini, i suoi passi inquadrati in primo piano, all’entrata della foresta, il suo sguardo smarrito, schermato dagli occhiali da intellettuale.

Si avventura nel bosco con l’idea di suicidarsi, portando con sé un tubetto di pillole, quando scorge la figura di un uomo giapponese (Ken Watanabe) che come lui, sembra essersi smarrito nella radura. L’uomo è insanguinato e ha bisogno di aiuto, lui gli si avvicina e, nel farlo, viene momentaneamente distolto dal suo proposito. Lentamente i due divengono amici, indispensabili l’uno all’altro e sembra che entrambi, benchè inizialmente decisi a morire, decidano poi di sopravvivere.
Le scene crude di sopravvivenza, quelle dei due fuggitivi che si feriscono e soffrono sia nell’anima che nel corpo, sono intervallate ai ricordi di lui e della moglie (Naomy Watts), che sembra essere scomparsa.

La pellicola è coinvolgente e ha mille chiavi di lettura. Con piacere ritroviamo quel Ken Watanabe che già ci aveva colpito ne L’ultimo samurai con quell’aura di saggezza e spiritualità.
Un film intenso e particolare che non delude le aspettative di chi si aspetta di trovare sullo schermo quelle emozioni e quella magia che la vita a volte ci nega.