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L'idea di Berlusconi al Quirinale smaschera chi intende la politica come potere personale

Vertice Berlusconi Salvini

La candidatura di Berlusconi al Quirinale è uno spartiacque fra chi intende la politica come esercizio di potere personale e chi come declinazione etica del bene comune.

La cinematografica candidatura di Silvio Berlusconi alla presidenza della Repubblica ha anche qualche merito: è uno spartiacque morale che divide chi intende la politica come esercizio di potere personale e chi la interpreta come declinazione etica del bene comune.

In fondo Silvio Berlusconi rimane, nonostante la veneranda età, la cartina tornasole per testare l’involuzione della politica e per smascherare antichi vizi che si travestono ogni volta con un costume nuovo: una volta anticomunisti, una volta confindustrializzati, una volta lucenti imprenditori al servizio del popolo, una volta sovranisti, una volta nordisti, una volta patrioti, una volta “migliori”, una volta cultori del merito, un’altra volta liberali, un’altra volta liberisti, una volta nostalgici democristiani, una volta destristi ma “europei”. Cambiano le formule commerciali con cui si vendono i moderati e gli estremisti con cui da anni vanno a braccetto ma basta immergerci dentro un po’ di Berlusconi per accorgersi che la reazione chimica è sempre la stessa.

Che il centrodestra non fosse nulla di nuovo non era difficile capirlo: Giorgia Meloni e Matteo Salvini sono due figli del berlusconismo nonostante lo abiurino in pubblico e entrambi hanno succhiato dalle mammelle di Silvio fino al tentativo di superarlo per logoramento. Non serve nemmeno una memoria troppo lunga per ricordare che la leader di Fratelli d’Italia (bravissima a rivendersi come “nuova” nonostante faccia politica dal 1998, sia dirigente di partito nel 2000 e sia parlamentare da quasi 16 anni) votò convintamente Ruby Rubacuori come nipote di Mubarak per salvare il suo patrigno oppure per risentire i proclami di Salvini che da anni ripete di non volere essere “schiavo di Forza Italia e di Berlusconi” e poi ne rimane sempre al guinzaglio.

Per capirci: che Meloni e Salvini spingano Berlusconi al Quirinale è perfettamente in linea con la loro strategia di dire tutto e il contrario di tutto. La loro strategia è talmente semplice da risultare banale: se Berlusconi ce la facesse per una coincidenza fortunata di eventi loro credono di poterlo “parcheggiare” come un anziano un po’ suonato davanti a un cantiere per prendersi nel frattempo tutto il centrodestra mentre se Berlusconi non dovesse farcela bruciandosi in Aula confidano una sua resa definitiva che potrebbe coincidere con l’abbandono di un ruolo attivo in politica ottenendo infine lo stesso risultato.

A loro poco importa che Berlusconi sia poco credibile a livello internazionale e piuttosto offuscato a livello nazionale, hanno lo stomaco forte: nello scorso giro di consultazioni per la presidenza della Repubblica riuscirono nell’impresa di candidare Vittorio Feltri e questo dice tutto quello che c’è da dire sulla loro concezione di autorevolezza per quel ruolo.

Quello che è socialmente più interessante invece è il Berlusconi fuori del centrodestra, quella figura normalizzato con tanta fatica da esimi commentatori di politica che confidano sempre in una pacificazione permanente come un condono, quelli che su Berlusconi hanno il coraggio di sventolare la solita rovinosa teoria del “meno peggio” che porta irrimediabilmente al peggio. Accorgersi di come si possa indorare un personaggio fallimentare dal punto di vista politico e umano è sintomo di una memoria ben allenata ma è anche l’effetto di un momento storico e politico in cui smussare le colpe è il modo migliore per non dover temperare le qualità.

Siamo in questo tempo qui, dove conta più di tutto non dispiacere, smarmellare opinioni tiepide e cercare di confondersi. Così perfino Berlusconi ritorna edibile. E chissà com’è contento Silvio di questa sua ultima operazione di marketing dove perfino un giocattolo rotto accende il desiderio sotto Natale.