La trattativa per fermare la guerra in Ucraina è entrata nella sua fase più delicata. Il piano di pace in 28 punti dagli Stati Uniti spacca l’Occidente, divide Washington da Bruxelles e mette Kiev di fronte a una scelta drammatica: accettare concessioni pesantissime dalla Russia oppure proseguire una guerra sempre più logorante.
Russia-Ucraina, pace o guerra totale? Un negoziato che divide l’Occidente
Il negoziato tra Russia e Ucraina promosso dagli Stati Uniti sta mostrando tutte le sue fragilità. Il piano iniziale presentato da Donald Trump a Kiev, articolato in 28 punti, è apparso fin da subito sbilanciato a favore di Mosca: riconoscimento della Crimea come territorio russo, cessione del Donbass anche nelle aree ancora sotto controllo ucraino, drastico ridimensionamento dell’esercito di Kiev, stop definitivo all’ingresso nella NATO e nessun vero meccanismo di garanzia sulla sicurezza futura. In cambio, all’Ucraina verrebbero offerte promesse vaghe, mentre alla Russia sarebbe persino concessa un’amnistia sui crimini di guerra e l’esenzione da risarcimenti. Una pace costruita su questi presupposti è stata giudicata da Kiev una resa mascherata.
La risposta di Volodymyr Zelensky è stata netta. L’Ucraina non rifiuta il dialogo, ma respinge qualsiasi accordo che ne comprometta la sovranità. A sostenere questa linea si è subito schierata l’Unione Europea, che ha lavorato a una revisione del piano riducendolo a circa 20 punti e riequilibrandone l’impianto: tutela dell’integrità territoriale, riapertura – seppur condizionata – della prospettiva NATO, mantenimento di forze armate adeguate e utilizzo esclusivo dei beni russi congelati per la ricostruzione. Una correzione che ha riaperto lo scontro politico con Washington.
Trump ha reagito duramente all’asse tra Kiev e Bruxelles, accusando Zelensky di ingratitudine e l’Europa di ipocrisia sulle sanzioni, arrivando a minacciare il taglio degli aiuti militari e dell’intelligence. Ma proprio questa pressione ha rafforzato il fronte europeo. Nei contatti con Londra, Parigi e Berlino, il presidente ucraino ha incassato rassicurazioni sulla continuità del sostegno politico e militare. Nessuno, assicurano le capitali europee, imporrà a Kiev una pace che ne metta a rischio la sopravvivenza come Stato.
Parallelamente prende forma la “Coalizione dei Volenterosi”, che riunisce 26 Paesi pronti a garantire supporto all’Ucraina anche nel lungo periodo. Non viene esclusa nemmeno l’ipotesi di una futura presenza militare internazionale come forza di deterrenza dopo un eventuale accordo. In questo quadro si inserisce anche il ruolo del Vaticano: l’incontro riservato tra Zelensky e Papa Leone XIV a Castel Gandolfo, con la richiesta di aiuto per il rimpatrio dei bambini deportati, è il segno di quanto la partita diplomatica si giochi anche sul piano morale e umanitario.
Intanto, mentre si discute di pace, l’Europa si prepara allo scenario peggiore. Dopo decenni di riduzione delle spese militari, il continente ha avviato una corsa al riarmo senza precedenti dalla Guerra Fredda. La Germania pianifica il trasferimento rapido di centinaia di migliaia di soldati verso Est, la Polonia amplia drasticamente il proprio esercito, i Paesi baltici rafforzano le difese, mentre Finlandia e Svezia diventano pilastri strategici nel Nord Europa. L’idea che un cessate il fuoco affrettato possa favorire una nuova offensiva russa è ormai condivisa da molti analisti.
Sul piano militare convenzionale, la NATO europea dispone di una potenza industriale superiore a quella russa, ma resta penalizzata da frammentazione, carenze operative e scorte limitate. Mosca, dal canto suo, mantiene il più grande esercito del continente e ha trasformato la propria economia in una macchina da guerra. A rendere il quadro ancora più instabile è la dimensione nucleare: Russia, Stati Uniti, Francia e Regno Unito possiedono arsenali in grado di annientare il pianeta, e la deterrenza resta l’ultimo argine a un’escalation irreversibile.
Russia-Ucraina, pace o guerra totale? Fallito il piano Trump, Europa sul baratro
Uno scontro aperto tra Russia e NATO avrebbe effetti devastanti immediati. I primi bersagli sarebbero con ogni probabilità i Paesi baltici e la Polonia, con attacchi su basi, aeroporti e infrastrutture critiche. La risposta dell’Alleanza sarebbe automatica, aprendo un conflitto su scala continentale. Milioni di profughi, blackout, attacchi informatici, crollo dei mercati, crisi energetica e recessione profonda sarebbero solo le prime conseguenze.
Nel medio periodo, l’Europa entrerebbe in un’economia di guerra permanente: spesa pubblica fuori controllo, pressione fiscale in aumento, drastico abbassamento del tenore di vita e tensioni politiche interne tra Est e Sud del continente. Anche l’ordine mondiale ne uscirebbe stravolto, con una crescente influenza cinese e la frammentazione definitiva del sistema globale in blocchi contrapposti.
Il bivio è ormai chiaro: accettare una pace imposta che rischia di legittimare l’aggressione militare come strumento politico, oppure prepararsi a difendere il proprio sistema di sicurezza anche a costo di sacrifici enormi. Per questo l’Unione Europea punta oggi a rafforzare la propria difesa, mantenere l’unità politica e lavorare per una pace che non coincida con la sconfitta dell’Ucraina e del principio stesso di sovranità.