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Un futuro di tutto riposo in un mondo senza lavoro

Un futuro di tutto riposo in un mondo senza lavoro

Si preannuncia un mondo futuro senza lavoro, sarà un mondo da sogno o sarà un inferno? Pare che alla fine saranno i robot ad occuparsi dei nostri impegni. Per un mondo senza lavoro pare che saranno i robot ad occuparsi delle attività normalmente svolte dagli uomini ma è necessario iniziare da s...

Si preannuncia un mondo futuro senza lavoro, sarà un mondo da sogno o sarà un inferno? Pare che alla fine saranno i robot ad occuparsi dei nostri impegni.

Per un mondo senza lavoro pare che saranno i robot ad occuparsi delle attività normalmente svolte dagli uomini ma è necessario iniziare da subito una programmazione accurata per evitare il collasso sociale.

Molti di noi pensano a cosa succederebbe se non avessimo bisogno di lavorare, se ci svegliassimo una mattina e scoprissimo, ad esempio, di aver vinto alla lotteria. Spesso ci perdiamo nei nostri sogni dove immaginiamo case meravigliose, viaggi attorno al mondo, o addirittura quali giocatori scrittureremmo dopo aver comprato la nostra squadra del cuore. Per molti di noi l’aspetto più affascinante di queste visioni è la libertà che una simile situazione economica comporterebbe: fare quello che più si desidera, quando si vuole e come si vuole.

Ma immaginate a come potrebbe cambiare questa visione se una tale libertà fosse estesa a tutti. Un giorno, forse non durante la nostra vita, ma non molto più tardi, le macchine saranno in grado di fare la maggior parte delle attività che sono normalmente svolte dagli umani. A quel punto si realizzerebbe il sogno di un mondo davvero senza lavoro. Se tutti, non solo i ricchi, avessero un robot a loro completa disposizione, una tale potenza tecnologica significherebbe non dover più avere a che fare con le imposizioni del mercato per poter sbarcare il lunario.

Naturalmente dobbiamo immaginarci cosa fare non solo di noi stessi ma anche nella vita sociale. Così come la vincita della lotteria non libera il vincitore dalle catene della condizione umana, l’intelligenza artificiale non permetterebbe a tutti di cavarsela come per magia. L’aspetto complicato di un mondo senza lavoro è che dobbiamo iniziare a costruire le istituzioni sociali per sopravvivere prima che i lavoratori umani vengano rottamati dall’avvento della tecnologia.

Nonostante gli straordinari progressi della robotica e dell’intelligenza artificiale quelli di noi che oggi sono ancora in vita si aspettano di continuare a lavorare fino alla pensione. Ma mentre i replicanti stile Star Trek e le tate-robot sono ancora lontani generazioni, la rivoluzione digitale sta iniziando a gettare scompiglio. Gli economisti e i politici si sono scervellati sulle lotte in cui sono stati coinvolti i lavoratori negli ultimi decenni. I pietosi tassi di aumenti salariali hanno incrementato le differenze e il flusso di reddito nazionale da profitti e affitti, piuttosto che pagare i conti. Il principale indiziato è la tecnologia. La rivoluzione digitale ha contribuito ad espandere la globalizzazione, ad automatizzare i lavori di routine e ha permesso a piccoli gruppi di lavoratori particolarmente brillanti di gestire attività che una volta dovevano essere svolte da una miriade di persone. Il risultato è un surplus di manodopera che le economie faticano a smaltire.

I mercati della manodopera hanno reagito nel solo modo in cui erano capaci: i lavoratori che hanno bisogno di lavoro non hanno altra scelta che accettare stipendi miseramente bassi. I datori di lavoro minimizzano e usano le persone per svolgere lavori che potrebbero, se necessario, essere svolti da macchine. I grandi rivenditori e le aziende distributrici si sentono meno pressati dall’ipotesi di trasformare i loro magazzini in strutture robotizzate perché ci sono lunghe file di persone desiderose di spostare scatole per una paga bassa. Gli uffici legali hanno messo da parte l’idea di investire in dispositivi di scansione documenti sofisticati, e tecnologia analitica, tanto di assistenti legali ce ne sono a palate. Si continuano ad assumere cassieri quando le macchine potrebbero, spesso, se non sempre, essere altrettanto efficienti. Ironicamente i primi sintomi di una nuova era di ricchezza tecnologica coincidono con l‘aumento di impiego a basso reddito e bassa produttività. E questo pasticcio inizia a far vedere quanto sarà complicato un mondo senza lavoro. La sfida principale posta da una rivoluzione economica non è gestire la magia delle nuove tecnologie, ma come ristrutturare la società in modo che le nuove tecnologie possano essere utilizzate a fin di bene facendo però in modo che i lavoratori siano soddisfatti della loro vita. Fino ad ora è stato un fallimento.

Prepararsi ad un mondo senza lavoro significa lottare con il ruolo che il lavoro ha nella società e trovare dei potenziali sostituti. Innanzitutto ci serve il lavoro per avere potere di acquisto: il denaro per comprare il pane. Alla fine, nel nostro lontanissimo futuro da Star Trek, potremo fare a meno del denaro e del costo dei beni, dato che la produttività permetterà alla società di dare alla gente tutto quel che serve ad un prezzo quasi pari a zero.

Per un lungo periodo ancora gli stipendi continueranno ad essere la principale fonte di reddito per la gente, e sarà necessario fissare dei prezzi per razionalizzare l’accesso a beni e servizi. Ma in assenza di una trasformazione sociale più ampia, spingere la gente fuori dall’ambiente di lavoro non farebbe altro che reindirizzare il flusso del reddito dai lavoratori ai titolari di azienda. Il ricco diventerebbe più ricco. Per liberare la gente dal lavoro evitando il collasso sociale sarà necessario che la società trovi un metodo diverso dallo stipendio per canalizzare il denaro verso coloro che non hanno un lavoro. La gente potrebbe arrivare a ricevere più del proprio reddito in forma di redistribuzione statalizzata, con il pagamento di un sussidio base, per esempio, oppure in forma di fornitura diretta di servizi pubblici, istruzione, servizi sanitari, case. Oppure, magari, ognuno potrebbe ricevere alla nascita una somma di denaro.

Questo tipo di situazioni non si materializzando magicamente nel momento in cui le macchine acquisiscono potete. E’ necessario concretizzare questi interventi con azioni politiche. Ed è proprio qui che le cose si complicano. Un problema è che la ristrutturazione sociale su larga scala ha bisogno di tempo per emergere ed avere effetto. Un altro problema è che avere dei soldi senza fare niente non è esattamente quello che interessa alle masse.

Ci sono discussioni politiche in corso che illustrano questo problema. Esistono moltissimi modi con i quali un governo potrebbe incrementare la paga dei lavoratori. Potrebbe aumentare la paga minima, aumentare i sussidi, attivare un reddito base oppure usare regole più severe per proteggere le industrie e obbligare le aziende a condividere i loro profitti con i lavoratori. E’ significativo che i lavoratori e i sindacati sembrino meno interessati a politiche, come la proposta di un reddito base, che rompono il legame tra compenso e lavoro. Questo è ciò che complica la realizzazione della nostra Utopia; un aumento del salario minimo andrebbe a vantaggio di molti lavoratori, ma disincentiverebbe alcune aziende dall’usare la manodopera a basso costo che hanno assimilato, obbligando i disoccupati ad uscire in un mondo in cui non possono trovare lavoro e dove mancano i mezzi economici per stare al di fuori della soglia di povertà.

Le preferenze dei lavoratori sono di facile comprensione. Il lavoro non è solo un mezzo per distribuire potere d’acquisto. E’ anche tra le principali fonti di identità e la ragione di vita di molti. Se il ruolo del lavoro nella società si riduce, è necessario che a crescere siano altre fonti di identità e ragioni di vita. Alcuni cercheranno da soli di trovare un’alternativa, perseguendo passioni troppo improduttive perché possano dare da vivere o impegnandosi nel volontariato, proprio come tanti pensionati trovano dei metodi soddisfacenti per riempire le loro giornate. Altri però si troveranno in rovina.

I lavoratori sono certi di non sentirsi a proprio agio con le riforme previste per sgomberare il percorso della loro irrilevanza economica. Non sono i soli che potrebbero avere da ridire. La ridistribuzione implica prendere e anche dare. E mentre alcuni imprenditori del settore tecnologico sembrano entusiasti all’idea di qualcosa simile ad un reddito base universale, non si esaurisce il risentimento per coloro che pensano di essere un affare troppo lucroso per il governo. Gli americani ricchi sono già abbastanza irritati dai loro compaesani che “prendono” e basta, quelli che Mitt Romney ha definito un “47% di incorreggibili” nella sua campagna per la presidenza nel 2012, che non pagano tasse federali, anche se la maggior parte di essi lavora e paga altre tasse, e sono semplicemente troppo poveri per dovere qualcosa al governo federale. Sarà un’impresa convincere i ricchi che inevitabilmente forniranno una quota sproporzionata di fondi per il futuro stato sociale, a separarsi dal loro contante.

Quindi le società potrebbero decidere che il popolo deve contribuire in qualche modo alla comunità al fine di qualificare il supporto sociale. I disoccupati, per esempio, dovranno partecipare a servizi per la comunità o altre attività. Un altro approccio potrebbe essere più interessante. Quelli che invece un lavoro ce l’hanno ancora potrebbero essere meno scontrosi quando si tratta di sovvenzionare uno stato sociale più generoso se i beneficiari sono considerati loro simili: membri della stessa tribù, gente con provenienze simili, che di conseguenza meritano la carità.

Nel mondo dei ricchi è interessante notare che non è tanto la generosità della redistribuzione statale che sta provocando malcontento sociale, ma il fatto che gruppi fuori dal coro – dai sudamericani ai polacchi ai rifugiati – possano trarre vantaggio da una tale forma di condivisione.

Creare una Utopia senza lavoro in cui le ricchezze sono distribuite a tutti, la gente è più soddisfatta del proprio tenore di vita e la pace non si mantiene escludendo qualche straniero “scomodo”, non è un compito facile. La lotta è già iniziata e le fasi di trattativa iniziali sono più che scoraggianti. Tra duecento anni, credo, avremo sistemato tutto in maniera eccelsa. Presupponendo cioè che quelli di noi che sono vivi ora possano gestire le prime fasi, quelle più faticose, senza distruggere il mondo nell’intento.