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Confiscati 21 milioni a uomini vicini al boss Messina Denaro

Messina Denaro

Polizia e Finanza hanno confiscato beni per un valore di circa 21 milioni di euro, che appartenevano a uomini vicini al boss latitante Messina Denaro

Nato a Castelvetrano nel 1962, è irreperibile dal ‘93. L’ultima volta è stato visto in vacanza a Forte dei Marmi. Poi di lui, ritenuto responsabile di un numero imprecisato di esecuzioni e tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Di Matteo, si sono perse le tracce. Diabolik, U siccu (il secco). Oppure Alessio, come si firmava nei pizzini ritrovati dagli investigatori nel covo di Binnu Provenzano, a Montagna dei Cavalli. Sono questi alcuni dei soprannomi con cui è conosciuto Matteo Messina Denaro, 56 anni compiuti lo scorso 26 aprile, figlio del patriarca mafioso Ciccio, tra i latitanti più ricercati del mondo. E, secondo gli investigatori, uomo di punta di cosa nostra. Ma i numerosi blitz cominciano a metterlo in guardia.

Nella giornata di sabato 17 novembre 2018, infatti, polizia e guardia di Finanza di Trapani hanno confiscato 52 appartamenti, 9 villini, 11 magazzini, 8 terreni, 19 garage, autovetture, conti correnti e società, per un valore stimato di circa 21 milioni di euro, a carico di due imprenditori che avrebbero stretto accordi segreti e loschi con alcuni esponenti delle “famiglie mafiose” della provincia, attivi nell’edilizia. Questi, inoltre, avrebbero operato nel settore dei lavori appaltati da enti pubblici in Sicilia su mandato del boss latitante Matteo Messina Denaro.

Messina Denaro, 21 milioni confiscati

Il sequestro di beni riguarda gli imprenditori Francesco e Vincenzo Morici. Nei loro confronti i giudici avevano proposto la sorveglianza speciale. Il Tribunale ha rigettato la richiesta nei confronti di Vincenzo Morici non ritenendolo soggetto pericoloso. Non comminata invece quella per il padre Francesco, a causa della sopravvenuta morte dell’uomo.

Il provvedimento è stato emesso a conclusione di analisi condotte dai poliziotti della Divisione Anticrimine svolte congiuntamente dalla Divisione Anticrimine e dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Trapani. Le indagini hanno evidenziato l’appartenenza dei due ad un gruppo di imprenditori che cosa nostra ha utilizzato per esercitare, per oltre un decennio, il condizionamento nelle fasi di aggiudicazione di appalti, nell’esecuzione delle opere e nelle forniture. In particolare, la mafia gestiva tramite gli imprenditori, i meccanismi di controllo illecito sull’aggiudicazione dei lavori pubblici e sulla esecuzione dei lavori. Si prevedeva che l’impresa aggiudicataria versasse una percentuale ai funzionari pubblici corrotti ed alla famiglia mafiosa di Trapani. Il tutto su mandato del “rappresentante provinciale” Matteo Messina Denaro.