> > Coronavirus in carcere, nessun piano d'emergenza in caso di focolaio

Coronavirus in carcere, nessun piano d'emergenza in caso di focolaio

coronavirus-carcere

L'emergenza coronavirus potrebbe diventare ingestibile se dovesse arrivare in carcere, con possibili nuovi focolai e forte rischio per la popolazione.

L’epidemia di coronavirus attualmente in atto in Italia obbliga ad interrogarsi su cosa potrebbe accadere se il morbo dovesse arrivare in ambienti ad alta densità abitativa come il carcere e come potrebbe difendersi la popolazione da eventuali focolai nelle case circondariali. Attualmente infatti non esiste alcun piano di contenimento sanitario per i detenuti reclusi nelle prigioni italiane e nemmeno per gli agenti di polizia penitenziaria, i quali rimangono dunque totalmente esposti a possibili agenti patogeni portati dai visitatori esterni. Una possibile epidemia in carcere potrebbe dunque comportare un’emergenza sanitaria nazionale assai difficile da gestire.

Coronavirus in carcere, nessun piano di emergenza

Ad oggi non esiste alcun tipo di controllo su chi entra e chi esce dalle strutture carcerarie, né per quanto riguarda il personale non detenuto che vi lavora al loro interno né per i nuovi arrestati, con chiunque di loro che potrebbe essere portatore inconsapevole del coronavirus. All’interno delle carceri infatti non esistono luoghi adatti dove isolare gli eventuali malati ed il trasporto dei detenuti verso strutture sanitarie esterne aumenterebbe esponenzialmente il rischio di contagio per la popolazione.

Attualmente l’unica misura adottata a livello nazionale è lo stop ai trasferimenti di detenuti da un carcere all’altro, ma se l’epidemia dovesse diffondersi anche all’interno degli istituti verrebbero annullati anche gli spostamenti in Tribunale e i colloqui con i parenti e gli avvocati. Un provvedimento che verrebbe preso per evitare la diffusione del virus verso l’esterno, anche se che potrebbe non evitare la trasformazione delle prigioni in focolai del coronavirus.

Le contromisure adottate finora

Sono al momento poche le contromisure adottate, dai singoli direttori o dalle autorità regionali, per contrastare dunque un’ipotetica emergenza coronavirus all’interno delle carceri. In Lombardia ad esempio, il Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Pietro Buffa ha disposto la sospensione dei permessi premio, dei lavori all’esterno e della semilibertà se fatta al di fuori del muro di cinta del penintenziario.

Nel carcere di Reggio Emilia si sta invece ragionando all’istituzione di un’area ad hoc dove trattenere in quarantena i nuovi ingressi per il periodo previsto dalle autorità sanitarie. Area dove potrebbero essere sistemati anche gli stessi agenti di polizia penitenziaria, i quali però chiedono che: “Ci possano essere le condizioni per lavorare in tranquillità e che vengano forniti dispositivi di protezione individuale”.

Il possibile collasso delle strutture

Un’eventuale focolaio in carcere comporterebbe scenari estremamente difficili da prevedere e gestire come racconta all’Agi anche Don Mauro Leonardi, prete della casa circondariale di Rebibbia a Roma. Don Leonardi spiega infatti che in un ambiente altamente promiscuo come quello carcerario un’epidemia di coronavirus si diffonderebbe in pochissimo tempo: “Se si ammalano tutti o quasi tutti i detenuti non c’è alcuna possibilità di isolamento e di cura. Non si può evacuare un intero carcere per evidenti motivi: primo dei quali la necessità che per ogni ci siano parecchie guardie. E poi dove li porti? Si aprono scenari apocalittici”.

Don Leonardi punta inoltre il dito contro i mancati controlli che non sarebbero stati effettuati nelle carceri italiane nonostante siano ambienti a rischio: “Nessuna di quelle precauzioni che, per dire, sono messe in atto negli aeroporti di Fiumicino e di Ciampino, vengono adottate a Rebibbia. Chiunque di noi arrivi a Rebibbia potrebbe, inavvertitamente, essere il protagonista di una strage. Prima che sia troppo tardi, urge, assolutamente urge, che le autorità prendano dei provvedimenti”.