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Covid, in Umbria tanti casi e il timore della variante brasiliana

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La variante brasiliana complica la gestione del covid negli ospedali in Umbria. La denuncia dei medici.

L’Umbria si trova nella stretta del covid e costretta a lottare contro le nuove varianti del virus, specie quella brasiliana, che si sono diffuse nel territorio e che preoccupano gli addetti ai lavori. Il centro della battaglia è l’ospedale di Perugia dove medici e infermieri, benché vaccinati, temono di non riuscire a gestire l’emergenza. A raccontare questo disagio è Cristina Cenci, vice segretario regionale del Cimo Umbria, che attraverso il Messaggero si è fatta portavoce del pensiero confidatole da un collega anestesista.

Covid Umbria, il timore della variante brasiliana

“Un collega anestesista di Perugia – dice la Cenci – mi chiese di aiutarlo a dire la verità prima che arrivasse la terza ondata. Il problema più grande, specie a Perugia, è la gestione dei posti letto, la loro carenza insieme a quella del personale. C’è anche un problema di commistione di percorsi sporco-pulito”. A questi problemi si aggiunge poi la già citata variante brasiliana contraddistinta da una più veloce circolazione: “Questi focolai – specifica la Cenci – hanno aggravato una situazione già tesa, ma Perugia non è l’unico ospedale con cluster all’interno“. Poi le parole della vice segretario del Cimo Umbria sottolineano come l’arrivo della variante non sia un fenomeno nato dall’oggi al domani, ma che già dall’inizio di gennaio ci fossero informazioni tali da consentire un intervento maggiore negli ospedali ed evitare che la situazione arrivasse al punto in cui si trova ora. Il problema è la costante emergenza, che non permetterebbe di poter gestire i pazienti e allo stesso tempo di poter organizzare e prevenire problematiche insorgenti.

Le parole della Cenci si riferiscono poi alla grande sofferenza del personale sanitario medico e non medico dell’ospedale di Perugia: “Pesa l’aver lavorato da marzo ad oggi in condizioni di fretta e di affanno e il non aver ripristinato i numeri, quei 350 medici che a livello regionale mancano rispetto alle dotazioni organiche che le stesse aziende avevano approvato con l’ultimo atto prima di Sanitopoli”. Poco personale dunque e in condizioni psico – fisiche molto provate: Siamo tanto provati emotivamente – sottolinea la Cenci – perché l’impatto di tante persone che non respirano è faticoso da gestire al pari delle telefonate coi familiari. E ora c’è il timore anche di dover gestire la carenza di dispositivi“. La stanchezza e le tante ore di lavoro spese senza lamentarsi, portano spesso però alla rabbia nel vedere che una situazione di tale emergenza si poteva evitare con una maggiore prevenzione: “Le disposizioni arrivano sempre un po’ troppo tardi rispetto a quando si segnalano i rischi. Stanno tutti dando il massimo – conclude la Cenci – nessuno si tira indietro, ma se ci dovessero chiedere più di questo il sistema rischia di saltare“.