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Fine dell'indipendenza del Tibet dalla Cina: la sanguinosa storia

Indipendenza del tibet dalla cina: storia e fine

Da sempre vissuto in autonomia, il Tibet ha visto terminare la propria indipendenza dalla Cina dopo le le rivolte avvenute a metà del 1900: la storia.

Il 28 marzo ricorre l’anniversario della fine dell’indipendenza del Tibet. La Cina represse nel sangue le ribellioni che ebbero luogo in quegli anni, annettendo il territorio tibetano alla repubblica socialista più grande di tutti i tempi. Ancora oggi i tibetani rivendicano la propria autonomia e indipendenza.

La storia del Tibet

Il Tibet, geograficamente parlando, è la regione dell’Asia Centrale situata sull’omonimo altopiano. Prima del VII secolo non si hanno documentazioni scritte di questo popolo poiché ancora non vi era stata introdotta la scrittura. La cultura infatti si tramandava solo oralmente. Siamo nel 608 quando Songsten Gampo, della dinastia Yarlung, fonda l’impero tibetano unificando i territori dell’altopiano, introducendo la religione buddhista e trasferendo la capitale a Lhasa

Sgretolatosi l’impero nell’842, il Tibet è destinato a riformarsi unicamente grazie all’avvento di Gengis Khan e dell’Impero mongolo. Ne fu assoggettato fino al 1358, anno in cui si emancipa nonostante rimanga sotto la protezione della dinastia Ming cinese. Dopo il 1391, anno in cui venne identificata per la prima volta la figura del Dalai Lama, seguono secoli di teocrazia, lotte interne, frammentazioni e interventi cinesi sull’altopiano.

L’influenza occidentale sull’altopiano tibetano si fece sentire prima nel corso del 1700 e poi di nuovo nel 1900 sempre da parte dell’Inghilterra. Essa infatti voleva trarre vantaggio da quel territorio per via della sua posizione strategica tra India (a quell’epoca colonia britannica) e Cina. Ritiratisi gli inglesi nel 1905 e finito l’impero cinese nel 1912, il Dalai Lama prese pieni poteri e dichiarò indipendente l’intero territorio tibetano, che venne così governato autonomamente fino al 1950.

Tibet: la fine dell’indipendenza dalla Cina

Finita la Seconda Guerra Mondiale il Tibet ritorna a fare parte delle mire della Cina. Scoppiata la Guerra di Corea nel 1950, il governo cinese ha il pretesto per iniziare l’invasione, forte dell’opinione pubblica completamente distratta dai fatti coreani. La data dell’invasione è il 7 ottobre dello stesso anno, data in cui i 40mila soldati cinesi superano il confine eliminando gli 8mila tibetani. Le autorità cinesi trasformano così il Tibet in una colonia, ne cambiarono il nome in Xizang e imposero numerosi e pesanti provvedimenti. Tra questi la ridistribuzione delle terre, un’ingente tassazione sui monasteri e la persecuzione nei confronti del clero buddhista, volta ad annientare completamente il culto di questa religione.

Esasperata da questi anni di repressione, rastrellamenti, arresti di massa e misure punitive, la popolazione tibetana decide di ribellarsi. L’epilogo di questa rivolta è drammatico: il 28 marzo 1959 l’esercito cinese reprime nel sangue la ribellione, proclama ufficialmente la fine dell’indipendenza del Tibet e costringe all’esilio il Dalai Lama. Il bollettino di guerra è spaventoso. 80mila morti tra cui donne e bambini e 300 mila profughi, rifugiati per la maggior parte in India.

Nei decenni seguenti si verificano numerosissime proteste da parte dei monaci tibetani contro l’occupazione cinese. In particolare Tenzin Gyatso, capo del governo tibetano in esilio, si impegna a diffondere il messaggio buddista e a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni del suo popolo. Tant’è che nel 1989 riceve il Nobel per la Pace, guadagnato per la sua protesta non violenta. Ancora oggi la questione sembra irrisolta, anche e soprattutto a causa del governo cinese che nel 2009 ha istituito il 29 marzo come giorno di festa per l’ “emancipazione degli schiavi” tibetani dalla dittatura teocratica del Dalai Lama.