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Coronavirus: Spagnuolo (Cfmt), 'Paese ancora lontano da innovazione smart working'

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Milano, 11 nov. (Labitalia) - "Lo smart working è senza dubbio un’opportunità, ma è bene non lasciarsi abbagliare dall’uso imposto ed obbligato che se ne è fatto, per altro con grande spirito di resilienza, nel momento in cui le nostre aziende non avevano...

Milano, 11 nov. (Labitalia) – "Lo smart working è senza dubbio un’opportunità, ma è bene non lasciarsi abbagliare dall’uso imposto ed obbligato che se ne è fatto, per altro con grande spirito di resilienza, nel momento in cui le nostre aziende non avevano altra soluzione per sopravvivere. Il nostro Paese deve lavorare ancora molto per adottare un modello di lavoro così innovativo, verso cui le grandi aziende, soprattutto quando si tratta di sedi locali di multinazionali, sono già da tempo orientate, ma a cui le micro e piccole imprese, di cui si compone per la gran parte in nostro sistema economico, faticano ad arrivare se intorno a loro non si costruisce un idoneo substrato in grado di favorirne e supportarne la transizione". A dirlo Nicola Spagnuolo, direttore di Cfmt, Centro di formazione management del terziario. "Sul tema dello smart working – afferma – è facile cadere in equivoci in questo periodo. La modalità di lavoro a distanza ha garantito a diverse aziende la propria sopravvivenza in un momento storico complicato e incerto. Durante il lockdown circa la metà della forza lavoro presente in Italia ha utilizzato modalità di lavoro a distanza. Prima dell’emergenza sanitaria si contavano circa 570mila lavoratori agili, mentre a maggio 2020 si è arrivati a oltre 4 milioni di lavoratori, sul totale di 8 milioni di potenziali beneficiari".

"Credo – spiega – ci sia molta fretta e un po' di superficialità nell’esaltare le lodi di un modello orientato al lavoro a distanza. Sembra quasi che questa pandemia abbia annullato di colpo i ritardi e le lacune del nostro Paese e che improvvisamente il potere taumaturgico dello smart working ci abbia reso all’avanguardia nell’adozione di modelli organizzativi e di business che fino a qualche mese fa erano lontanissimi dalla nostra cultura, come del resto dimostrano i dati. Riterrei più utile in questa fase un atteggiamento cauto nel ritenere vincente un modello sperimentato per pochi mesi, i cui risultati non sono assolutamente ancora misurabili". "Probabilmente, a lungo andare, ci troveremo di fronte ad un nuovo paradigma economico-sociale, nel quale lo smart working si andrà affermando più che in passato ma dobbiamo essere consapevoli che l’attività da remoto potrà essere davvero produttiva, efficace ed efficiente solo se sussistono una serie di condizioni e se una visione strategica collettiva sarà orientata a rimuovere vincoli e gap strutturali con i quali noi italiani dobbiamo fare costantemente i conti", aggiunge.

"Il nostro gap – sottolinea Nicola Spagnuolo – di competenze digitali va colmato, in fretta, senza se e senza ma. Il punto però è che, se anche riuscissimo ad annullare il digital divide tutto italiano, siamo certi che lo smart working aprirebbe una nuova strade a nuove modalità di lavoro? Mi spiego meglio: la tecnologia è senza dubbio indispensabile, in quanto abilitante, ma non garantisce l’efficacia dei processi organizzativi orientati allo smart working che richiede invece un profondo ripensamento dell’organizzazione. Sarà necessario innovare modelli di organizzazione del lavoro, ripensando spazi fisici e ruoli aziendali: meno gerarchia e più ruoli e meccanismi di coordinamento orizzontali". "Serviranno – avverte – nuovi e più intensi processi formativi orientati all’acquisizione di nuove competenze per i dirigenti e i collaboratori: capacità di negoziazione e gestione delle relazioni, di feedback, ascolto, di gestione del tempo, di autogestione e di gestione dell'equilibrio tra vita privata e lavorativa". "Dovranno entrare – auspica – nella nuova cultura organizzativa d’impresa i sistemi di valutazione e sviluppo della prestazione basata sui risultati, riconoscendo e dando valore alle diverse caratteristiche delle persone secondo logiche di equità. Ciò significa ripensare l'intera organizzazione: si tratta insomma di una rivoluzione culturale".