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Giuseppe Mazzini 3: le congiure mazziniane e la Giovine Europa

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Il fallimento dei moti mazziniani. Morte di Mazzini

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Attratti dalle idee mazziniane, molti giovani dell’epoca intrapresero azioni contro i governi, ma quasi tutte ebbero una tragica fine.

Nel 1833 fu teorizzata un’insurrezione che avrebbe dovuto insorgere in Piemonte contro Carlo Alberto, ma un banale incidente la bloccò sul nascere scatenando una dura repressione: dodici patrioti furono condannati a morte, tra questi Andrea Vochieri ed Efisio Tola, Jacopo Ruffini si suicidò in carcere e molti furono gli esuli.

Nel Febbraio 1834 fu organizzato un moto in Savoia, ma anch’esso fallì sul nascere: un gruppo di patrioti agli ordini del generale Ramorino sarebbe dovuto entrare in patria ma furono commessi errori e gli insorti furono facilmente dispersi; contemporaneamente fallì l’insurrezione che sarebbe dovuta scoppiare a Genova guidata da Giuseppe Garibaldi, salvatosi rifugiandosi su una nave in rotta per l’America.

Dopo il misero fallimento dei moti insurrezionali, Mazzini comprese che l’Italia non era ancora matura per questo tipo di azioni, e nell’Aprile del 1834 fondò la Giovine Europa, organizzazione che tuttavia restò sulla carta senza mai divenire una realtà concreta.

Ad un certo momento della propria vita e attività politica, Mazzini attraversò un periodo di crisi che lo condusse a una riflessione profonda e sentita del proprio ruolo di teorico e patriota: il suicidio dell’amico Ruffini e la morte di tanti ragazzi rapiti dalle sue idee intristì il suo animo e lo pose di fronte a una serie di inquietanti interrogativi sull’opportunità di proseguire o meno lungo la strada intrapresa (periodo che gli storici chiamano della tempesta del dubbio); infine, persuaso dall’idea che la vita è per tutti una missione, decise di continuare la lotta politica così come l’aveva concepita e iniziata.

Nel 1837 Mazzini si rifugiò in Inghilterra dove riprese la propria attività; nel 1844 un altro tentativo di insurrezione finì tragicamente.

I fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, ufficiali della marina austriaca conquistati dalle idee mazziniane, credettero fosse giunto il momento opportuno per un’insurrezione in Calabria; in realtà, Mazzini non era dello stesso avviso e sconsigliò i giovani di intraprendere un’azione che giudicava troppo pericolosa.

Non fu ascoltato.

Una ventina di giovani temerari partì da Corfù e sbarcò presso le foci del Neto; una spia avvertì la polizia che li circondò e li sopraffece.

Nove ragazzi furono uccisi nel Vallone di Rovito, vicino Cosenza (Giugno 1844).

La critica più frequentemente rivolta a Giuseppe Mazzini e soprattutto al suo pensiero politico, è quella di essere stato un teorico troppo spesso avventato e velleitario: il disegno politico che aveva concepito non era attuabile concretamente nell’Italia di quegli anni, per molte ragioni conosciute da lui stesso.

Eppure non esitò ad insistere nei tentativi insurrezionali, che però non erano ancora sufficientemente condivisi e opportuni, e nonostante il loro tragico fallimento continuò a perseguire la rischiosissima strada intrapresa, sottovalutando l’inutile perdita di giovani vite: numerosi furono i ragazzi, che invaghitisi delle idee da lui teorizzate e diffuse, si gettarono in un’impresa più grande di loro, senza capirne le reali difficoltà e senza rendersi conto della loro enorme pericolosità.

Nel 1870 Mazzini fu rinchiuso nel carcere di Gaeta e poi condannato di nuovo all’esilio, tuttavia, usando il nome falso di Giorgio Brown, riuscì a rientrare a Pisa e a nascondersi per un breve periodo di tempo nella casa di Pellegrino Rosselli, ove morì il 10 Marzo del 1872.

La notizia della sua scomparsa si diffuse rapidamente in Italia suscitando un’ondata di grande emozione e risvegliando inevitabili rigurgiti di orgoglio nazionale: una folla immensa partecipò ai funerali del patriota e filosofo, che fu sepolto nel cimitero monumentale di Staglieno, dove a tutt’oggi riposa.