> > Il futuro delle banche: l'analisi nel libro di Lucchini e Zoppini

Il futuro delle banche: l'analisi nel libro di Lucchini e Zoppini

untitled 4

L'analisi del futuro delle banche nel libro di Stefano Lucchini e Andrea Zoppini.

C’era un tempo nel quale la regolazione delle banche avveniva “all’orecchio” dei banchieri. Una formula anglofona che forse si potrebbe tradurre in “moral suasion”, per cui tutto rimaneva nell’informalità e nella segretezza dei rapporti personali. Il parlare all’orecchio implica una riservatezza, nella quale il regolatore e il regolato condividono una strategia comunicativa e decisionale e, in un rapporto strettamente fiduciario, si vincolano al riserbo. Illuminante, a tal proposito, la vicenda della prima offerta pubblica di acquisto do azioni, avvenuta in Italia nel 1971, quella delle azioni Bastogi. Guido Carli, nelle sue memorie dal titolo Pensieri di un ex governatore, s rive di avere vittoriosamente contrastato il successo dell’iniziativa rifiutando di cedere le azioni Bastogi possedute dalla Banca d’Italia. “Lo feci – scrive – perché l’operazione era schermata e non trasparente e il prezzo non congruo”.

Tutto ciò è frutto di un quadro normativo largamente superato, atteso che si tratta del modo nel quale hanno agito le banche tipico di altre fasi storiche, in particolare quando erano in vigore le norme della legge bancaria del 1936.

Nella raccolta di lettere di Paolo Baffi (Servitore dell’interesse pubblico”) si legge che baffi già nel 1965 – scrivendo a Ugo La Malfa – auspica, con grande lungimiranza, che le funzioni della Banca d’Italia siano coordinate a livello comunitario.

La regolazione informale delle banche presupponeva un sistema di controlli sull’azione amministrativa rispettosa del potere pubblico e alieno dal ricorso ad azioni risarcitorie e denunce penali, a cui oggi siamo abituati. Oggi non esiste un Paese in Europa nel quale gli esponenti di vertice degli istituti bancari subiscano e siano oggetto di così numerose iniziative della magistratura inquirente e, così pure, destinatari di così tante iniziative amministrative, come in Italia.

Il quadro che si è delineato e l’immedesimazione tra regolatore e regolato si modificano profondamente quando le banche perdono ogni riserva di attività ed entrano in concorrenza tra loro nell’ordinamento domestico e poi in una dimensione europea.

Nel libro “Esiste un banchiere per bene?” (Fabio Innocenti) si narrano le vicende che hanno accompagnato le scalate bancarie dei primi anni Duemila (la crisi della popolare di Lodi, l’acquisto di Antonveneta, il riassetto del sistema che ha preceduto la legge sul risparmio e le dimissioni del governatore Fazio. In realtà quel libro non sembra cogliere l’aspetto più drammatico e sociologicamente significativo di quella vicenda. Ciò che va in scena è lo scontro tra visioni del mondo, prima ancora che del mercato bancario, tra concezioni diverse e opposte dell’essere un civil servant e un banchiere centrale.

I fatti di cronaca e quelle vicende hanno profondamente modificato le regole istituzionali, ma anche i processi decisionali della Banca d’Italia, il cui stile si è profondamente modificato con l’avvento di Mario Draghi.

La scelta di avere posto al centro della disciplina bancaria i requisiti di patrimonializzazione, applicati in maniera incrementata e rigorosa, ha significato inevitabilmente – dietro l’apparente parità di trattamento – favorire le banche con ordinamenti come quello tedesco, nel quale la patrimonializzazione era più agevole e meno costosa.

Nell’attività di regolazione dei mercati, inoltre, non contano solo le decisioni formali, ma sono al pari di queste rilevanti le prassi, le scelte informali, la dinamica tra istituzioni. Come scrive Sabino Cassese, questi aspetti, che pure non sono regolati o scritti da nessuna parte, sono, tuttavia, una parte fondamentale per comprendere gli incentivi, i processi di istruzione e assunzione delle decisioni dei corpi burocratici.

Le banche italiane, tradizionalmente, non hanno impugnato le decisioni della Banca d’Italia. Nei casi, per il vero non numerosi, nei quali le banche o singoli amministratori hanno contestato di fronte ai giudici le decisioni della Banca d’Italia, i tribunali, civili e amministrativi, hanno normalmente confermato le decisioni dell’istituto. Molto raramente la valutazione discrezionale tecnica dell’autorità è stata messa in discussione.

Ci si deve chiedere allora se sia possibile replicare questo modello di interazione, per molti aspetti virtuosa, anche con la Banca centrale europea. La nostra ragione e negativa. In primo luogo, perché il rapporto e le regole d’ingaggio si sono profondamente mutate da quando le competenze di regolazione e controllo delle banche dell’area Euro sono state trasferite alla Banca Centrale Europea. Si è così realizzato un nuovo modello di integrazione e cooperazione amministrativa tra le banche centrali nazionali e la Bce, un sistema amministrativo non ancora sperimentato a livello comunitario. Si tratta, infatti, di una forma di cooperazione del tutto innovativa, che postula un’integrazione disuguale sia nel processo decisionale sia a livello operativo. Solo dopo un congruo periodo di rodaggio il sistema potrà dirsi a regime. I codici semantici sono tutt’altro che collaudati. Inoltre, tutte le nuove istituzioni burocratiche al loro nascere mostrano i muscoli e vogliono affermare il proprio ruolo, conquistarsi un proprio spazio e farsi rispettare. Questo ha prodotto comunicazioni abrasive tra la Bce e le singole banche; confronti personali ruvidi e molto orientati al fare emergere dissensi. Spesso gestiti da team compositi e non ancora rodati. Un capo ufficio francese e tedesco possono avere visioni regolamentari e operative molto diverse. Come ha osservato Giuliano Amato, ciò non è il prodotto del carattere degli uomini, ma di codici culturali profondi e radicati nella cultura istituzionale della Francia e della Germania, che guarda con fiducia alla discrezionalità amministrativa e al potere pubblico, la prima, e che si affida allo stato di diritto e al rispetto delle procedure, la seconda.

Alla Bce sono assegnati, in relazione ai compiti di supervisione, rilevanti poteri discrezionali. Ciò implica necessariamente l’esistenza di una zona grigia, spesso coperta da norme generalissime o di principio, la cui concretizzazione si realizza volta per volta a fronte di casi concreti. La questione appare a maggior ragione rilevante e potenzialmente problematica – a fronte della irresponsabilità civile, penale e amministrativa di cui godono la Bce e i vertici della vigilanza bancaria europea per gli atti compiuti bell’adempimento di doveri d’ufficio. Il potere della Bce di regolare le banche europee non si manifesta solo attraverso i provvedimenti formali, e sono stati compiuti passi nella direzione della regolazione informale. È interessante rilevare che questa informalità è tutt’altro che immune da possibili contestazioni. Ed è ragionevole chiedersi se sia possibile esporre queste raccomandazioni a una revisione formale.

Nel prossimo futuro avranno un ruolo maggiore il confronto e le contestazioni delle decisioni della Bce. È infatti evidente che la revisione amministrativa e giudiziale costituirà un momento rilevante per mettere alla prova il corretto esercizio della discrezionalità tecnica del regolatore bancario europeo e così pure per integrare le lacune normative e di coordinamento che la disciplina prevede.