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Iran, le giovani vittime del regime: processi irregolari e pena di morte

Iran

Il legame del regime che comanda l'Iran con la pena capitale è più forte che mai: le giovani vittime rischiano di essere decine

Il laccio del boia si avvolge sempre più stretto intorno al collo dei giovani in Iran. Con la morte di Mohammad Ghobadlou sale a nove il conto delle vittime dei ragazzi coinvolti nelle proteste del movimento Donna Vita Libertà, ma a rischiare grosso è chiunque, da quelle parti, voglia far sentire la propria voce.

Iran, le giovani vittime del regime: il caso Ghobadlou

Manouchehr Mehman Navaz, Mansour Dahmardeh, Mohammad Ghobadlou, Mojahed Kourkouri e Reza Rasaei: sono questi gli ultimi nomi legati al movimento Donna Vita Libertà a cui è stata comminata la pena di morte in Iran. Dall’autunno del 2022 sono state impiccate otto persone, tutte giovani, ma altre quindici rischiano la pena capitale. Un sistema punitivo tra i più duri del mondo che in Iran prova a mettere a tacere, tramite l’uso della barbara violenza, qualunque voce dissidente rispetto all’ideologia portata avanti dal regime di Teheran. Ghobadlou è stato ucciso all’alba di un giorno come tanti, per un reato indimostrabile, ma allo stesso tempo impossibile da contestare: il 23enne era accusato di aver preso parte all’uccisione di un poliziotto. La sentenza che lo riguardava era stata dapprima annullata, poi improvvisamente ripristinata e, infine, eseguita nei tempi più celeri possibili. Il suo avvocato non ha potuto fare nulla per evitare una fine tanto drammatica quanto tragicamente scontata.

Iran, le giovani vittime del regime: l’ingiustizia dei processi

In contemporanea, negli stessi luoghi, un altro cappio di un altro boia si stringeva intorno al collo di Farhad Salimi. Il cittadino curdo è stato giustiziato dopo 14 anni di prigionia e un processo tra i più ingiusti che si possano ricordare. L’uomo era stato accusato di attentato alla sicurezza nazionale e per lui la definitiva sentenza è arrivata nel giro di pochi minuti, senza che il suo legale abbia avuto la possibilità di pronunciare anche una singola sillaba nell’aula di tribunale. La sua morte apre il tema dell’irregolarità dei processi esercitati dai giudici del Paese che si affaccia sul Golfo Persico. Molto spesso, infatti, sono gli stessi imputati a confessare per sfinimento i reati di cui sono accusati, perché le loro parole vengono estratte con la forza tramite spregevoli torture.

Iran, le giovani vittime del regime: la macchina di disinformazione

Accadde qualcosa di molto simile anche a Mojahed Kourkouri, l’uomo che secondo i giudici iraniani avrebbe ucciso il piccolo Kian Pirfalak durante una protesta andata in scena il 16 novembre 2022 nella città di Izeh. Kourkouri a quella manifestazione non aveva neanche partecipato e la stessa famiglia della giovane vittima aveva raccontato che a sparare verso la loro auto era stato un agente delle forze di sicurezza. “Ascoltate da me come sono andate le cose, così quei menzogneri non potranno dire che sono stati dei terroristi” – ripeteva la madre di Kian al funerale del bimbo, ma ormai era troppo tardi. La macchina propagandistica iraniana si era già messa in moto e il nome di Mojahed Kourkouri era finito nell’occhio del ciclone. L’uomo è stato impiccato per i reati di inimicizia contro Dio, corruzione sulla Terra e di ribellione armata contro lo Stato.