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L'italiano nella Costituzione, il ministro Sangiuliano: "Usare parole straniere è snobismo radical chic"

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"Già il presidente Meloni presentò una proposta in tal senso" ha affermato il Ministro Sangiuliano con riferimento all'idea lanciata dal Messaggero

L’idea del Messaggero, di inserire l’italiano nella Costituzione – che è diventata anche oggetto di una proposta di legge – non poteva che incontrare il favore del Ministro Sangiuliano, da sempre attento al tema delle identità culturali.

Il Ministro Sangiuliano: “Sì all’italiano nella Costituzione”

Intervistato dal Messaggero, Gennaro Sangiuliano ha espresso il suo consenso alla proposta lanciata del giornale diretto da Massimo Martinelli, di inserire l’italiano nella Costituzione.

“La consacrazione della lingua nazionale è in molte Costituzioni, di gran parte dei Paesi non solo europei, come ha opportunamente ricordato Federico Guiglia. Quindi si tratta di essere coerenti con altre grandi nazioni europee e occidentali, e già il presidente Meloni presentò una proposta in tal senso. Poi, naturalmente, la riforma va armonizzata con il quadro di riforme a cui sta lavorando il ministro Casellati” ha affermato il Ministro della cultura, da sempre attento al tema delle identità culturali.

“L’Italia nata prima della consacrazone statutaria”

L’ex direttore del Tg2 Rai ha poi evidenziato il motivo dell’importanza di citare la nostra lingua nella Costituzione:

“La lingua è l’anima della nostra nazione, il tratto distintivo della sua identità. Il secolo scorso insigni studiosi del calibro di Croce, Gentile, Volpe hanno a lungo argomentato sulla circostanza che l’Italia sia nata molto prima della sua consacrazione statutaria e unitaria. L’Italia nasce attorno a quella che fu definita la “lingua di Dante”. E poi ci sono altri esempi che si possono fare”.

“Uso termini anglofoni è radical chic”

Una lingua da proteggere ma anche da rilanciare. Nell’intervista il ministro critica le definizioni straniere nella comunicazione pubblica: “Un certo abuso dei termini anglofoni appartiene a un certo snobismo, molto radical chic. Che spesso nasce dalla scarsa consapevolezza del valore globale della cultura italiana. E anche della sua lingua, che invece è ricca di vocaboli e di sfumature diverse”.