Sabato scorso Londra è esplosa di colori, bandiere, e voci di chi crede nei diritti… Circa un milione di persone ha invaso le strade per il Pride, un momento di festa e protesta insieme… Per la prima volta anche la famiglia reale inglese ha lasciato un’impronta visibile, postando un semplice ma potente “Happy Pride” sui suoi canali ufficiali…
Un gesto piccolo, ma carico di significato, che ha acceso una polemica feroce e diviso l’opinione pubblica tra applausi e insulti. Un esempio che dimostra quanto la questione LGBTQ resti un campo di battaglia anche nelle società più avanzate.
La famiglia reale, il Pride e la polemica che scotta
Il post della famiglia reale con il video della banda di Buckingham Palace che suona “Pink Pony Club” ha raccolto decine di migliaia di reazioni. Molti hanno visto in questo gesto un segnale di modernità e apertura. Re Carlo, noto per il suo impegno su ambiente e sostenibilità, sembra lasciare una nuova impronta anche in campo sociale. Però, e qui scatta il nodo, c’è chi non l’ha presa bene. Commenti durissimi, che trasudano intolleranza e un rigido conservatorismo, sono piovuti come sudore freddo su quel post.
“Se vuole salvare la monarchia, il Re deve smettere di assecondare chi la vorrebbe distruggere”, scrivevano in tanti, citando addirittura la defunta regina come esempio di “purezza” tradizionale da preservare. Quella stessa monarchia che, a conti fatti, fatica a tenere il passo con i tempi, anche a causa di questa impronta generazionale fatta di valori meno rigidi. Ecco, qui sta il punto: non si tratta solo di un post o di una canzone, ma di un segnale politico e culturale forte, che – come a Garlasco con certi processi simbolici – lascia un segno e divide.
Un impegno sincero della famiglia reale: non solo apparenza
Dietro la facciata dei social, però, c’è chi ci mette sudore, lavoro e impegno vero. Il principe William, ad esempio, è un alleato concreto della comunità LGBTQ. Nel 2017 ha accettato un premio per il suo impegno contro il bullismo omofobico, raccontando storie difficili, quasi incredibili, di giovani che non ce la facevano più. “Nessuno dovrebbe essere vittima di omofobia”, ha detto, e in quelle parole c’è una speranza che va oltre la polemica sterile di qualche commento velenoso.
L’esempio di William è un promemoria: non è solo marketing o “politicamente corretto”. C’è chi si sporca le mani, anche se spesso nascosto dietro numeri e sigle, per cambiare davvero le cose. Come succede in tanti luoghi, dove ogni impronta lasciata è frutto di sudore, fatica e scelte coraggiose. Ecco perché, tra le mille opinioni su questo post reale, vale la pena fermarsi a pensare. Perché un semplice “Happy Pride” non è solo un saluto, ma un passo, forse piccolo ma importante, verso una società più inclusiva.