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Non c'è un antidoto al suicidio per povertà

Italia, 6 anni di suicidi per la crisi economica

Ignorati i 350 suicidi per motivi economici dei primi 6 mesi del 2018. Le proposte del governo non sono una garanzia.

Nonostante “sconfiggere la povertà” sia una battaglia per la quale il Governo pentastellato dichiari di spendersi molto, i benefici dei provvedimenti presi in merito tardano ad arrivare. La manovra finanziaria investe una grande quantità di risorse economiche nel reddito di cittadinanza e nei prepensionamenti. Si inneggia a una prossima sconfitta del demone della povertà e a una ritrovata felicità dei cittadini italiani. Eppure il Governo si dimentica di un dato che dovrebbe mettere in allarme. Si tratta del tasso di suicidi “per ragioni socio-economiche che non dà segnali di diminuzione. Il dato è completamente sottovalutato anche dall’Istat: non esiste infatti una categoria dell’Istituzione nazionale di statistica che raccolga dati in merito a questa classe di suicidi. L’osservatorio suicidi per motivazioni economiche della Link Campus University e l’associazione Angeli della Finanza hanno invece raccolto molti dati, dal riesame è emersa una tendenza preoccupante. I suicidi per motivi economici non accennano a diminuire. Il Governo però chiude gli occhi davanti ai morti di povertà e continua a parlare di reddito di cittadinanza e di prepensionamento come della soluzione sovrana e definitiva.

Non calano di suicidi per motivi economici

Secondo i dati riportati dall’associazione Angeli della finanza, i suicidi per ragioni socio-economiche del primo semestre 2018 raggiungono i 350 casi. Come fa invece emergere la Link Campus University, che allarga lo spettro di analisi al quinquennio 2012-2017 (oltre 1300 casi), il picco si è registrato nel 2015, ma nel primo semestre 2018 si è riscontrato un aumento rispetto al primo semestre 2017. La zona più colpita della penisola è il Nord Est: qui si è registrato il 25,1% dei suicidi per ragioni socio economiche. Nel complesso la distribuzione del fenomeno è abbastanza omogenea sul territorio: colpisce tutte le zone d’Italia.

La fascia d’età più colpita è quella tra i 45 e i 54 anni (34,7%); preoccupa l’aumento dei suicidi tra i 35 e i 44 anni, ora al 20%. Ciò che più stupisce è che arriva al disperato gesto di togliersi la vita non solo chi è disoccupato (37,3%), ma soprattutto chi un lavoro lo ha. Il 40% dei suicidi sono infatti tra gli imprenditori, e un altro 20,3% tra i dipendenti. Questo dato dovrebbe essere spia del fatto che non c’è solo un problema di povertà per mancanza di occupazione, ma che c’è una grossa fetta di popolazione che soffre le conseguenze dell’aumento di un lavoro sempre meno retribuito.

Probabilmente risulterebbe spiacevole per il Governo parlare di dati simili, perché non solo emergerebbe il malcontento imputabile alle recenti politiche sociali, economiche e lavorative, ma risulterebbe anche palese l’inadeguatezza delle misure prese per ovviare al problema della crescita della povertà.

Povertà in Italia, i dati

Secondo le relazioni Istat, la povertà assoluta in Italia è in crescita. Nonostante il trend di miglioramento del fallimento delle piccole e medie-imprese, gli individui e le famiglie in stato di povertà assoluta sono in aumento. Nel 2017 ha infatti superato i 5 milioni il numero di individui sotto la soglia di povertà assoluta, 1,778 milioni invece le famiglie. In crescita anche la povertà relativa: 9,368 milioni di singoli e 3,171 famiglie. Secondo l’Eurostat l’Italia è il paese con il maggior numero di poveri assoluti in tutta Europa. In aumento soprattutto i giovani in assoluta povertà: arrivano a 1,2 milioni, concentrati soprattutto nelle periferie delle grandi città.

Il reddito di cittadinanza non salverà le nostre vite

Che fare di tutti questi dati? Sarebbe necessaria una proposta in grado di rinnovare l’offerta lavorativa della penisola, capace di promuovere una crescita economica che coinvolga famiglie e imprese. Il Governo è però convinto che la povertà sia altra cosa, che riguardi soltanto chi non ha voglia di lavorare. Eppure l’incidenza dei suicidi per motivi socio economici riguarda soprattutto i lavoratori. Per risolvere questa drammatica situazione è necessario intervenire non per tamponare, ma per risolvere. Il reddito di cittadinanza è un calmiere e il prepensionamento non porterà da nessuna parte se i contribuenti non aumentano. Si tratta di due espedienti poco sostenibili, se non bilanciati da una crescita della quantità e della qualità del lavoro in Italia. Per raggiungere tale obiettivo, però, il Governo non intende fare nulla.

Fornire occasioni di lavoro a chi non ne ha la possibilità è sicuramente importante, ma è bene assicurarsi che le condizioni di lavoro siano dignitose, altrimenti si favorisce la crescita di un lavoro precario e mal retribuito: si alimentano quindi quel malessere e quella povertà che nei primi sei mesi del 2018 hanno ucciso 350 italiani. “Non pensiamo che reddito di cittadinanza e prepensionamenti vadano nella strada di una crescita” ha asserito il presidente di Assolombarda. Non investire sulla crescita significa condannare gli italiani all’attuale condizione, fregiandosi però del titolo di coloro che la povertà la vogliono combattere investendo sulla “felicità dei cittadini” e ignorando qui 350 morti che invece raccontano tutto il contrario.