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Se Marco Cappato deve, ancora una volta, sostituirsi alla politica

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Marco Cappato rischia di nuovo il carcere perché da solo ha fatto una cosa che avrebbero dovuto fare gli altri. Quelli che oggi ci chiedono il voto.

Se Marco Cappato deve sostituirsi alla politica per fare una cosa etica pagandone prezzo da un punto di vista penale allora il dato è evidente: l’etica dalla politica è stata sfrattata e il fatto che ci sia una campagna elettorale in corso dovrebbe farci riflettere. Su cosa? Sul fatto che i partiti in lizza, quelli che ci stanno inondando di promesse “pratiche” e di ricette di buon governo, sono in realtà dei sistemi complessi che agiscono per delega, cioè una volta incasellati nel meccanismo decisorio di un esecutivo sono chiamati a fare le veci e la somma delle nostre istanze di cittadini.

Insomma, la mission dei tizi a cui ci apprestiamo a dare il voto il 25 settembre prossimo è, o dovrebbe essere, quella di evitare che un singolo e determinato individuo passi un guaio perché la bontà del suo gesto avviene in un vuoto normativo, in questo caso totale fino a pochi mesi fa e monco tuttora. E purtroppo neanche stavolta è andata così ed anche con il suicidio assistito della povera 69enne che ha voluto salutare il mondo vicino Basilea il coraggio di uno ha dovuto sanare la vigliaccheria dei più.

Vigliaccheria assoluta, a contare che in nessuno dei roboanti programmi presentati c’è uno straccio di accenno a temi che abbiano ampio respiro etico. Il meccanismo ormai lo conosciamo: da un po’ di anni e sulla spinta di una politica sempre più praticona e legata all’economia il passo di marcia del cimento pubblico lo danno cose terrigene e sode come economia, tasse, spread, bollette, mancette Ue, ponti sugli stretti e prezzo dei bucatini da fare alla vaccinara.

E attenzione, il fenomeno è a doppia mandata: da un lato i partiti che praticoni e grezzi ci sono nati non hanno fatto altro che sguazzare ancor meglio nella mota da cui sono emersi, dall’altro quelli che sull’etica ci hanno sempre tradizionalmente scommesso almeno di ugola hanno innestato retromarce clamorose in cui ciò che prima era tonante proclama oggi è diventato timido accenno o robetta da mercanteggiare con il compare di Rosatellum.

Il risultato è uno solo: cose serie, cose vitali, cose che hanno il respiro della civiltà e non l’organigramma del ben più misero progresso da noi in Italia sono sbiadite caricature di se stesse. Di quello e della forza che dovremmo mettere nel realizzarle, con la narrazione della campagna elettorale che stiamo vivendo che ha rimesso al centro solo quegli insulsi gargarismi dialettici che tanto piacciono a noi italiani, maestri di opinione ma asini patentati di condotta attiva e scattismo legiferativo.

Quello che ne consegue è che oggi parlare di Marco Cappato in mezzo alla giostra di ricette offerte dagli imbonitori su piazza ha il tono stantio di quando ad un funerale che passa in strada ti fermi e ti fai il segno della croce. Un funerale come quello che ha avuto la signora Elena, che per morire è stata costretta ad andare in Svizzera senza “finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa, tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito”.

Un funerale come quello del Diritto che oggi mette Marco Cappato in rubrica dei Carabinieri perché da solo ha fatto una cosa che avrebbero dovuto fare gli altri. Quelli che oggi ci chiedono il voto.