Il 9 ottobre è l’anniversario di uno degli eventi più tragici della storia d’Italia: quasi duemila persone morirono quel giorno del 1963 a Longarone (Belluno), a causa dell’immane onda di fango proveniente dall’invaso a monte del paese. A distanza di 59 anni il dramma avvenuto fa ancora da monito all’Italia intera di fronte ai rischi dell’emergenza idrogeologica.
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Le parole di Zaia: «Una ferita ancora aperta»
«L’anniversario che si celebra domani 9 ottobre è una ferita aperta nella carne della nostra terra. Una ferita che ci impedisce di dimenticare quegli uomini e quelle donne che in un attimo persero la vita. Un dramma che si è esteso a tutti coloro che dopo la tragedia sono sopravvissuti nel dolore per la morte dei congiunti, la perdita di affetti e di beni, nell’incomprensione delle dimensioni dell’accaduto e nella difficoltà di portare avanti una legittima richiesta di giustizia». Continuando poi: «La data fornisce a noi amministratori pubblici l’occasione per riflettere su quale deve essere l’impegno responsabile verso i cittadini e il territorio. Se oggi l’attenzione verso l’emergenza idrogeologica, la sensibilità per l’ambiente e il mutamento climatico, sono costante motivo di impegno e confronto, lo dobbiamo anche a chi cinquantanove anni fa rimase vittima di un incauto e incosciente sfruttamento delle risorse che si si era sforzato di piegare pericolosamente la natura all’interesse dell’uomo».
Cosa causò il disastro del Vajont
A dare il là a quello che sarebbe diventata una tragedia, la sera del 9 novembre 1963, una frana del Monte Toc sopra la diga: la caduta di circa 270 milioni di metri cubi di rocce e terra provocò un’onda di tali dimensioni da inondare il fondovalle veneto di Longarone. Si potrebbe pensare che fu la natura a causare questo ma no, fù l’uomo. Dopo gli accertamenti infatti venne fuori che i progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell’opera di nazionalizzazione occultarono la pericolosità del sito e la sua non idoneità proprio a causa di rischi idrogeologici manipolando dati.