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Creati i primi robot viventi: ecco gli xenobot

Gli xenobot sono organismi-automi

Creati i primi robot viventi: ecco gli xenobot, che con la loro "mission" possono rivoluzionare il mondo della medicina e dell'ambiente terrestre

Creati in laboratorio i primi robot viventi: ecco gli xenobot,  agglomerati di cellule animali programmate da un’intelligenza artificiale per un determinato scopo deciso dagli uomini. Attenzione, non è fantascienza anche se lo sembra, è solo il prodotto finale di studi approfonditi ed applicazioni empiriche che hanno portato alla creazione di nuovi organismi, minuscoli e potenzialmente utilissimi, per non dire rivoluzionari. Partiamo dalle basi, cosa sono? Sono cellule animali, per la precisione di una rana africana, lo xenopo liscio (Xenopus laevis), solo che a plasmarne la mission collegiale è un’intelligenza artificiale che, con la manipolazione genetica, assegna loro dei compiti e soprattutto fa in modo che il loro livello di sviluppo resti uguale e costante

Cosa sono e da dove vengono gli xenobot, i primi robot viventi

Gli xenobot sono di fatto “team” di cellule staminali prelevate da embrioni e le cellule staminali embrionali hanno la meravigliosa caratteristica già nota in biomedicina di differenziarsi a seconda di un preciso compito. Perciò “bastava” determinare artificialmente quale dovesse essere quel compito e, semplicisticamente, sono venuti fuori gli xenobot. Cosa fanno? Si muovono e riparano in autonomia, possono trasportare carichi e in sette giorni si degradano, cioè tecnicamente a mission eseguita muoiono e diventano materia organica primaria

I primi robot viventi, ecco cosa potrebbero fare gli xenobot

Perciò a cosa servono? Potrebbero fare decine di cose estremamente utili, per non dire rivoluzionarie, come ad esempio trasportare farmaci fino ad un punto mirato dell’organismo umano o fungere da “spazzini” programmati per eliminare eliminare le microplastiche nei mari. Chi li ha sviluppati? Un team di ricerca Usa, scienziati del Dipartimento di Informatica dell’Università del Vermont e del Dipartimento di Biologia dell’Università Tuft di Medford (Massachusetts). A guidarli Joshua Bongard e Michael Levin, che hanno modellato gli xenobot sulla base dei “consigli” dell’intelligenza artificiale. Il software complesso ha elaborato migliaia di combinazioni possibili di xenobot. Così facendo ha inserito in piattaforma operativa cellule cardiache ed epidermiche, questo allo scopo di ottenere le soluzioni più adatte

Gli xenobot, i primi robot viventi, piccoli “pezzi di carne” da meno di un millimetro

A cosa? A peculiarità come la capacità di muoversi, portare proteine, inglobare sostanze esterne etc. Poi, con una micorpinza ed un elettrodo di stimolazione, le cellule sono state in un certo senso “pascolate”, cioè spinte ad assemblarsi autonomamente. Ecco, da quel processo sono nati  xenobot composti da 500 a mille cellule con un preciso “ordine” in memoria. Ma come sono fatti? Banalmente sono “pezzetti di carne lunghi meno di un millimetro”. Ha spiegato il dottor Bongard: “Queste sono nuove macchine viventi. Non sono né robot tradizionali né una specie conosciuta di animali. È una nuova classe di artefatti: organismi viventi programmabili”. 

Le applicazioni dei primi robot viventi: gli xenobot in medicina e tutela ambientale

E le applicazioni potrebbero essere tante e clamorosamente utili: gli xenobot potrebbero viaggiare nel corpo umano e rimuovere le placche aterosclerotiche dalle arterie. Potrebbero fungere da “corrieri” di un dato farmaco in un punto preciso del corpo, dove quel famarco serve di più.  Potrebbero essere “segugi” ambientali di radioattività o di sostenze nocive. Gli scienziati sino stati chiari: “Se potessimo realizzare una forma biologica 3D su richiesta, potremmo riparare i difetti alla nascita, riprogrammare i tumori nei tessuti normali, rigenerarli dopo lesioni traumatiche o malattie degenerative e sconfiggere l’invecchiamento”.

Quanto vivono e cosa manca agli xenobot, i primi robot vivi ma non proprio “viventi”

Gli xenobot vivono circa una settimana in soluzione acquosa perché come tutti gli organismi viventi hanno una loro riserva di lipidi e proteine. Non hanno alcune caratteristiche che sono canonicamente associate alla definizione di organismo vivente: non evolvono e non si riproducono, ma essendo biodegradabili sono ad impatto zero rispetto ai microbot. Tutti gli approfondimenti tecnici sui primi robot viventi sono stati pubblicati sulla rivista specializzata PNAS.