Secondo Luciano Gattinoni gli italiani muoiono di coronavirus più dei tedeschi perché nei due Paesi sono Stati adottati modelli diversi di risposta all’emergenza. “I tedeschi – rivela Gattinoni a Senaldi – non sono più bravi di noi e lavorano di meno. Però sono organizzati, ognuno fa la sua parte, non si parlano addosso e amano obbedire. Rispettano le regole, avvantaggiati dal fatto che le loro sono chiare, e perciò si possono permettere di più rischiando di meno”. Infatti la Germania è riuscita a contenere il numero dei decessi molto più dell’Italia: un modello, quelle tedesco, che doveva essere uno spunto per gli italiani.
Coronavirus, muoiono più italiani che tedeschi
I tre interventi che Angela Merkel ha fatto ai tedeschi sono stati chiari e decisi. Secondo Gattinoni, infatti, a differenza dell’Italia, in Germania la comunicazione è stata efficace. In un primo momento la Cancelliera ha annunciato che il 70% dei tedeschi si sarebbe ammalato, poi ha annunciato la chiusura del Paese, e infine ha comunicato la riapertura “affermando che, se la situazione peggiorerà nuovamente, farà retromarcia”.
L’Italia riparte 7 giorni dopo la Germania, ma non perché sia pronta quanto perché è necessario riaccendere il moto economico del Paese. Gli italiani muoiono di più dei tedeschi – secondo Gattinoni – perché sono meno ligi alla legge e rispettano le regole in modo meno ferreo rispetto ai colleghi della Germania.
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“L’ Italia ha 500 esperti e un numero di commissioni ignoto – ha proseguito ancora Gattinoni -, ma del loro lavoro non traspare nulla. Vive in un perenne talk-show. Manca perfino un’analisi della situazione che parta dai numeri. Nessuno parla di rischio sostenibile, non avendolo calcolato”. In Italia, quindi, “è mancato il manico e si è usato un tono apocalittico per essere ascoltati. Poi ci si è nascosti dietro il parere degli scienziati, solo che il virus era sconosciuto e ogni professore aveva la sua opinione. Si è creata una confusione non da poco, volendo andare dietro a tutti”.
La strategia migliore, invece, è “osservare gli altri anziché proporsi come modello: guardiamo cosa succede dove si è riaperto, e se il contagio lì non riparte, copiamo. E poi bisogna fare un calcolo tra il rischio epidemico e il disastro economico che la chiusura comporta”.