> > Coronavirus, boss della mafia scarcerati. Quali sono i rischi?

Coronavirus, boss della mafia scarcerati. Quali sono i rischi?

Coronavirus, il ruolo della mafia nell'emergenza sanitaria

In un'intervista per notizie.it, il magistrato Franco Roberti spiega il ruolo della mafia nell'emergenza coronavirus in Italia.

L’emergenza coronavirus non è solo sanitaria, ma anche economica e sociale. Le difficoltà delle imprese e delle famiglie sono terreno fertile per la criminalità organizzata, che offre i suoi aiuti a chi ne ha più bisogno. La scarcerazione dei boss mafiosi dalle carceri per proteggerli dal contagio ha riportato in auge il tema dell’importanza della lotta alla mafia. In questa intervista a cura di Fabrizio Capecelatro, direttore di notizie.it, Franco Roberti (magistrato e europarlamentare) spiega il ruolo della mafia nell’emergenza coronavirus, e tutti i rischi connessi.

Il ruolo della mafia nell’emergenza coronavirus

Come ha trascorso la quarantena?

Io sono in quarantena dal 10 marzo. Mi sono adattato come tutti a questa condizione, cercando di lavorare da remoto, di partecipare alle riunioni delle plenarie della commissione del Parlamento europeo, cercando di dare un mio contributo, anche se a distanza.

Un argomento di cui si è discusso molto in queste settimane è il rischio che le organizzazioni criminali possano approfittare dell’emergenza economica e sociale derivante da quella sanitaria. Secondo lei, quanto è concreto questo rischio?

Io sono stato il primo a segnalare questo rischio in un’intervista al Fatto Quotidiano il 21 marzo scorso, in occasione della Giornata della Memoria. Il rischio che la criminalità organizzata (di tipo mafioso e non) si infiltri in questa economia emergenziale è altissimo, ed è avvenuto anche in epoche passate. Pensiamo alla depredazione dei fondi post terremoto del 1980, i famosi 90mila miliardi della commissione Scalfari, che finirono in buona parte nelle tasche della criminalità organizzata, mentre i terremotati sono rimasti per trent’anni appiedati.

Ora il rischio è ancora più grave, perché da questa situazione di lockdown, quindi di mancanza di produzione e di liquidità per tutti, si verifica rispetto all’offerta dei servizi criminali che la criminalità organizzata è in grado di fornire, una drastica riduzione della domanda di questi servizi. Intendo droga, smaltimento di rifiuti, gioco d’azzardo. Questa contrazione di domanda dei servizi criminali penalizza in qualche modo anche le casse delle mafie, che quindi cercano di fornire nuovi servizi.

Un altro tema di cui si è discusso in questi giorni è la scarcerazione di alcuni soggetti anche con ruoli apicali all’interno delle organizzazioni criminali dalle strutture di detenzione, proprio perché all’interno delle stesse è impossibile garantire il necessario e minimo sistema di sanità. Ci sono state molte levate di scudi su questa posizione, qual è la sua?

Quando un mafioso, detenuto in regime differenziato del 41bis o di massima sicurezza, viene scarcerato perché il sistema carcerario non è in grado di garantire le cure necessarie o anche solo ritiene di non esserne in grado, nel rispetto della dignità della persona umana e del diritto alla salute, che vale naturalmente per tutti, anche per i detenuti pericoli, è sempre una sconfitta dello Stato. Credo che in questo caso siano stati fatti molti errori, che non si sia programmato per tempo in vista della pandemia e quindi dell’emergenza, un sistema che potesse in qualche modo assicurare le cure necessarie ai detenuti senza dover ricorrere alla loro scarcerazione. La loro scarcerazione e gli arresti domiciliari sono una sconfitta per lo Stato.

Oltre a essere una sconfitta dello Stato, esistono, secondo lei, dei rischi concreti derivanti da queste scarcerazioni?

Naturalmente sì. Il rischio è duplice: quello che un detenuto con 41bis sia un capo mafia e che torni a dirigere comodamente da casa la propria organizzazione, rendendola più efficiente. Il secondo è un rischio emulativo, che mette il sistema penitenziario in condizioni di dover tener conto di certi precedenti, dei quali non si sarebbe dovuto tener conto se il sistema penitenziario-sanitario avesse funzionato bene.

Cooperazione europea fondamentale per sconfiggere la mafia

Su quello che è il rischio delle mafie sono arrivati attacchi anche da alcune realtà editoriali e politiche rispetto a quelle interne al nostro Paese. Penso al titolo di un giornale tedesco che ha fatto discutere e che accomunava la volontà di ricevere dei fondi dall’Unione Europea al rischio che questi stessi soldi finissero nelle tasche dei clan criminali…

I tedeschi hanno la coda di paglia e una cattiva coscienza che si portano dietro da cinquant’anni. Loro hanno i mafiosi in casa da cinquant’anni e non hanno mai voluto ammetterlo. Dovrebbero prima guardare le mafie a casa loro, come operano e come si infiltrano nella loro economia, prima di parlare delle mafie italiane. Questo l’abbiamo dimostrato quando nel 1991 andai con Falcone a chiedere collaborazione ai tedeschi contro le mafie italo-tedesche che operavano in Germania. Ci sbatterono la porta in faccia, perché guai a parlare di mafie sul suolo tedesco! Poi ci fu nel 2007 la strage di Duisburg [dove persero la vita sei persone per mano di criminali affiliati alla ‘Ndrangheta, NdR], e allora ci fu un’apertura che subito si richiuse quando sembrò che il pericolo fosse passato. Comincino a guardare le loro mafie, e poi parlino di noi

Quel titolo di giornale è stata una ferita aperta, che però si è inserito all’interno di un dibattito europeo ben più ampio, ovvero il dibattito su come l’Unione Europea dovesse aiutare l’Italia e tutti i paesi colpiti, anche economicamente e socialmente, dal coronavirus. Secondo lei, quale deve essere l’approccio dell’Europa all’Italia in questo momento?

In questo momento ho apprezzato molto le parole di Angela Merkel, che ha proposto lo scostamento del bilancio europeo, perché se non c’è solidarietà tra gli Stati, allora non ci può essere l’Unione Europea. Questo è un grande passo avanti, denota la sua statura politica e in qualche modo è un’apertura verso questa crisi che potrebbe diventare una svolta decisiva per l’Unione Europea, che potrebbe scoprire che la solidarietà non è una beneficenza caritatevole che facciamo al nostro partner più debole, ma la solidarietà è una scelta politica precisa.

Questo virus ci insegna, tra le altre cose, che gli individui, così come i Paesi, vivono di relazioni. Se le relazioni non sono fondate sulla solidarietà, non sono relazioni. E quindi è importante per creare una vera relazione europea, fondarci su una vera solidarietà, che passa ineluttabilmente dall’aiuto reciproco. Quello che oggi può sembrare un aiuto all’Italia, diventa domani un aiuto alla Germania e all’Olanda, perché l’economia circolare pagherà tutti se funzionerà per tutti. Naturalmente bisognerà fare dei passi avanti. L’Italia deve trovare il modo per rilanciare la propria economia, per superare il proprio debito esorbitante. Occorrerà anche che l’Olanda riconosca che sta facendo una politica concorrenziale rispetto agli altri Paesi, e quindi si dovrebbe andare anche verso un’armonizzazione delle aliquote fiscali. È un percorso molto lento, molto lungo, molto laborioso, ma anche un percorso ineluttabile se non vogliamo che l’Unione Europea così com’è finisca sotto i colpi del coronavirus.

Famiglie e imprese sono le due grandi realtà maggiormente a rischio e più esposte alla criminalità organizzata, che potrebbero sostituirsi allo Stato. Che cosa dovrebbe fare lo Stato per evitare che le organizzazioni criminali si sostituiscano ad esso nel supportare famiglie e imprese in questa crisi economica?

La verità è che l’economia sarà devastata. Ne risentiranno molte imprese e moltissime famiglie, soprattutto nell’Italia meridionale. Basti pensare al settore del turismo e a tutto l’indotto che porta, e a tutta la disoccupazione che porterà questa crisi nel settore. La situazione è tragica, inutile nasconderlo. Ci vorrebbe un uomo o una donna della statura politica di Churchill, capace di dire: ‘Vi posso promettere solo lacrime e sangue’. Questa figura però non c’è, non c’è una personalità capace di promettere lacrime e sangue credibilmente, non c’è Italia e non c’è nel resto del mondo. Questa è una tragedia nella tragedia.

Però bisogna anche dire che, con i limiti della politica italiana, con le difficoltà del Governo, che si è trovato di fronte a una situazione impensabile fino a pochi giorni prima, si sta facendo una manovra estensiva. Sono stati stanziati 155 miliardi, di cui 55 miliardi di scostamento di bilancio e 25 miliardi già erogati con il Decreto Cura Italia. Quindi il Governo, nei limiti in cui può farlo, sta mettendo questi soldi, che devono andare a chi ne ha più bisogno. Se falliamo in questo, falliamo in tutto. Sono convinto che questo impegno di spesa andrà a buon fine. Bisogna impedire che questi soldi vadano nelle tasche sbagliate, ma questo è compito degli organi di controllo, della Polizia e della magistratura stessa.

Minacce ai magistrati e divisioni europee

Un altro tema connesso a quelli precedenti, riguarda la notizia circa alcune minacce che sarebbero arrivate ad alcuni suoi ex colleghi, magistrati napoletani e calabresi, proprio perché si sono espressi contro la scarcerazione dei boss.

Non sapevo di queste minacce, ma non mi meraviglia la notizia. Perché purtroppo, come diceva Falcone, il magistrato è sovraesposto perché troppi si nascondono. Allora quando il magistrato parla senza il sostegno e la difesa di tutta la categoria, allora si espone alla minaccia. Questi colleghi che hanno, giustamente, fatto delle critiche al sistema si sono sovraesposti e non hanno avuto il sostegno adeguato da parte dei colleghi.

La divisione all’interno dell’Europa ha trovato un riflesso anche all’interno del nostro Paese, tra i governanti della Regione Lombardia e Campania. Lei pensa che dividerci in questo momento possa essere dannoso?

Dividersi in questo momento è folle. Noi dobbiamo trovare l’unità e la solidarietà istituzionale tra i partiti al Governo e all’opposizione. Bisogna unirsi in una prospettiva di recupero dalla pandemia e di recupero dell’economia. La solidarietà nazionale è fondamentale. La solidarietà presuppone l’eliminazione di tutte le polemiche superflue e di tutte le divisioni inutili. Dobbiamo confrontarci civilmente nell’interesse del bene comune. Anche le polemiche sulla Costituzione mi sembrano fuori luogo e strumentali. La nostra Costituzione non prevede stati di eccezione, ma prevede che alcuni diritti fondamentali, come il diritto di libera circolazione, possano essere limitati di fronte a una causa ritenuta come giusta e necessaria, nell’interesse del bene comune, per un tempo limitato e in modo proporzionato. Quindi mi sembra pretestuoso fare una polemica sulla violazione dei diritti costituzionali.

C’è anche da dire, però, che questa compressione dei diritti non avvenga con Decreto autoreferenziale del Presidente del Consiglio. Dovrebbe avvenire tramite decreto-legge, quindi con un provvedimento tempestivo ma da sottoporre al vaglio del Parlamento, che deve restare centrale nella determinazione di queste limitazioni. È importante recuperare la centralità del Parlamento e il meccanismo dei decreti-legge.

Coronavirus, cosa succederà nella Fase 2?

Che cosa si aspetta dopo il 4 maggio?

Se dovessi stare alle previsioni degli scienziati, mi aspetterei uno scenario peggiore di quello che ci stiamo lasciando alle spalle. Io temo che, se ci sarà un’apertura indiscriminata, ci potrebbe essere una ripresa dell’epidemia. L’Istituto Superiore di Sanità dice che se il parametro R0 (erre con zero) dovesse tornare a 1, ci potrebbero essere 15 mila persone da mandare in terapia intensiva, quando in Italia abbiamo 9 mila posti disponibili su tutto il territorio. Questa situazione ci costringerebbe a un nuovo lockdown. È vero che aprire subito ci porterebbe a un immediato recupero economico, ma se i contagi risalgono, saremmo costretti a richiudere tutto e avremmo un danno economico ancora più grave di quello che avremmo adesso, restando chiusi ancora un po’.

Sarebbe d’accordo a una chiusura o riapertura differenziata secondo le zone geografiche d’Italia?

Non sono uno scienziato, ma penso che si potrebbe incominciare a valutare singoli casi di zone in cui, per esempio, non ci sono più casi. Lì si potrebbe iniziare ad aprire qualcosa prima del 1° giugno o del 18 maggio. Gli scienziati hanno presentato uno scenario non rassicurante. Se diamo il ‘Liberi tutti’, i contagi potrebbero tornare a crescere. E se i contagi crescono, le terapie intensive crollano. Meglio aspettare qualche altra settimana prima di cominciare a riaprire.

Giustizia e coronavirus nelle Rsa: il ruolo dei magistrati

Un aspetto che ancora non viene valutato, e che invece meriterebbe interesse, è che la nostra giustizia ha già dei tempi molto lunghi. Nel senso che i Tribunali, come sappiamo, sono affollati di cause, per ogni magistrato ci sono troppi fascicoli. Questa chiusura dell’attività giudiziaria, che ha riguardato due mesi e mezzo, quali conseguenze avrà sulla giustizia che, giustamente, i cittadini richiedono?

Il buon funzionamento della Giustizia civile e penale è condizione indefettibile per un rilancio dell’economia. Perché una giustizia che funzioni, civile e penale, garantisce anche gli investitori, garantisce la tutela dei diritti. Una giustizia tempestiva e uguale per tutti garantisce la ripresa economica. Far funzionare la Giustizia è essenziale per lo sviluppo economico del Paese, soprattutto in questo momento. La Giustizia può essere solo in piccola parte a distanza, la Giustizia si fa nelle aule di Tribunale. Un processo a distanza non può funzionare, non garantisce la credibilità della decisione giudiziaria. Certo, i sistemi digitali possono avere una loro utilità, per esempio per il deposito degli atti, per lo scambio di informazioni, per le comunicazioni, ma gli atti giudiziari vanno fatti di persona.

Un altro tema legato al tempo dei processi giudiziari, è quello dei processi a carico delle Rsa, dove, secondo le indagini in corso, potrebbero essere stati commessi degli illeciti. In particolare sono arrivate delle critiche sul fatto che forse non era quello il momento giusto per avviare un’attività giudiziaria. Da magistrato prima, e da uomo politico poi, quali sono i tempi della giustizia?

Il magistrato che riceve una denuncia, non ha scelta: deve procedere a verificarla. Trattandosi di casi così gravi e eclatanti, il magistrato non può perdere tempo. Quindi no, secondo me i magistrati non hanno agito troppo in fretta, hanno solo fatto il loro dovere. Detto questo, vedremo cosa uscirà fuori da questa indagine.

Anche perché esiste un tempo utile per raccogliere le prove. Su un fatto così importante e eclatante, se la Procura fosse intervenuta dopo, non avrebbe trovato nulla.

Esatto, non avrebbe trovato niente. Ci sarebbe il rischio di dispersione delle prove.

Invece, da un punto di vista politico, non trova pericolosa l’idea che la politica possa entrare e giudicare i tempi della magistratura?

L’attività della Magistratura è sottoposta al controllo dei cittadini, e quindi anche della politica. Quindi trovo giusto che si vigili sull’azione della Magistratura. Diverso è interferire con provvedimenti in un atteggiamento minatorio o tracotante.

Pensa che dopo questa emergenza il nostro Paese e la nostra società possano uscire cambiate in meglio?

Io spero di sì. Spero che il nostro Paese cambi in meglio anche con l’aiuto dell’Europa. Da questa fase così drammatica, impensabile fino a poco tempo fa, abbiamo l’opportunità di uscire tutti migliori. Attraverso questa necessaria responsabilizzazione a cui siamo chiamati, potremo crescere come cittadini e come coscienza civile.

Commissione europea anti mafia: la proposta

Qualche settimana fa ha lanciato una proposta, ripresa anche dal nostro giornale, di istituire una commissione anti-mafia a livello europeo. Quali sarebbero i vantaggi di una commissione di questo tipo rispetto a una commissione nazionale?

La criminalità organizzata è transnazionale. Parlavamo prima delle mafie in Germania, ma potrebbero essere in Australia, in Canada, in Francia o in Spagna. Queste organizzazioni criminali devono essere conosciute e combattute a livello internazionale. Noi italiani con le nostre leggi e le nostre organizzazioni, la nostra Procura, la DIA, da soli non ce la facciamo. La cooperazione internazionale, però, si basa su due fondamentali principi: la condivisione degli strumenti normativi e la condivisione delle informazioni. Benché esistano già organismi di cooperazione internazionale, non sempre funzionano bene, perché non in tutti i Paesi c’è la sensibilità dei problemi posti dalla criminalità organizzata, che c’è invece nel nostro Paese, La commissione anti-mafia a livello europeo servirebbe a diffondere questa sensibilità a tutti i Paesi dell’Unione Europea, spesso intrecciata con la corruzione. Senza condivisione non c’è cooperazione e senza cooperazione le mafie non verranno mai sconfitte.

Qualche tempo fa si pensava anche di una super Procura europea anti-mafia, un’ipotesi ancora meno praticabile se si pensa alle normative dei vari Paesi. Al di là della realizzazione effettiva, quando potrebbe essere importante?

La Procura europea è stata già costituita, ma non è una Procura anti-mafia. È una Procura prevista dal trattato di Lisbona, che si deve occupare delle indagini internazionali sui reati che colpiscono gli interessi finanziari dell’Unione Europea. Coronavirus permettendo, l’ufficio entrerà in funzione tra qualche mese. Al momento questa Procura non si occupa di criminalità organizzata e terrorismo, ma un domani potrà evolvere anche in funzioni anti-mafia e anti-terrorismo. Ma secondo me in questo momento sarebbe più importante un altro organismo proposto dalla Commissione Europea, e cioè un’agenzia europea anti-riciclaggio, con il compito di monitorare l’implementazione e l’attuazione delle normative anti-riciclaggio nei 27 Paesi dell’Unione Europea